Sapevate dell’esistenza dei “tesori sepolti in Sardegna” ? No? Allora vi rimandiamo all’articolo seguente che vi spiega cosa sono.
Oggi trattiamo dei casi particolari relativi alla Gallura, nella parte nord-orientale dell’Isola.
Come abbiamo visto esistono diversi modi per individuare un tesoro nascosto, solitamente destinato ad una precisa persona, la quale è l’unica che può riuscire a venire in possesso di una grande fortuna.
Tuttavia ci sono delle persone, dotate di particolare coraggio e conoscenza, che vanno in cerca di tali ricchezze, nonostante non siano a loro destinate. Arrivano a sapere della probabile presenza di un tesoro (a seconda della zona chiamato scussorgiu, scrixoxu, siddadu, iscraxoxu) tramite conoscenti o leggende del luogo, e a questo punto, tramite particolari rituali, cercano di portarsi a casa il bottino.
C’è un però, non di poco conto; devono fare i conti con il Guardiano.
Vediamo in questo articolo quali sono le procedure adottate in quest’angolo di Sardegna, differenti da quanto invece si rileva nel cagliaritano.
Chi si appresta a cercare un tesoro nascosto, che può apparire solitamente come un baule, una pentola in rame o terracotta, deve farsi accompagnare da altre due persone. Una persona sarà addetta alla lettura di “lu libru di lu cumandu” e deve conoscere alla perfezione “li 12 parauli“.
In passato questo ruolo veniva ricoperto da un uomo di chiesa in grado di leggere le formule in latino dei vari “grimori” che circolavano più o meno segretamente. Chi ha il libro del comando in pratica si occupa dell’evocazione del Guardiano e, tramite li 12 parauli, del suo allontanamento.
Le altre due persone sono addette a scavare.
Il rituale non deve iniziare prima della mezzanotte e deve terminare al terzo canto del gallo e la lettura del libro o la recita del brebu deve essere continua, ricominciando più volte se serve, sino al ritrovamento del tesoro.
Ad un certo momento del rituale possono manifestarsi “di li spirienzi mali“, apparizioni malefiche che possono prendere le sembianze di demoni, serpi, animali terrificanti e se uno dei cercatori si fa prendere dal panico, tutti e tre devono abbandonare l’impresa; continuare sarebbe vano e chi ha provato anche se per un attimo, un minimo di paura, morirà nell’arco di un anno.
In alcune altre zone della Gallura, la procedura è molto diversa. Si deve prima localizzare il punto in cui probabilmente si trova un tesoro (anche in questo caso spesso dietro segnalazione del proprietario del fondo in cui si andrà a scavare) quindi, dalla mezzanotte all’una, si circoscrive il sito tracciando un cerchio per terra. Al centro di tale cerchio si andrà a sistemare un tavolino con due candele accese sopra e tre sedie davanti che andranno occupate dai cercatori.
La persona seduta al centro deve leggere “lu libru di lu cumandu pa la chjamata“, che serve per far manifestare il Guardiano, solitamente identificato con il Diavolo, mentre le altre due persone ai lati, denominati “li testimogni“, devono stare in assoluto silenzio. Tutti e tre devono essere dotati di enorme coraggio in modo che al manifestarsi del Guardiano “cu li spirienzi mali“, rimangano impassibili.
La persona più esperta, cioè il lettore del libro del comando, si deve preoccupare di avvisare i due testimoni del fatto che se uno qualsiasi dei partecipanti cade svenuto per lo spavento, dovrà immediatamente essere trascinato fuori dal cerchio in modo da evitarne la morte certa a causa del custode del tesoro.
Ma se a star male fosse il lettore?
In tal caso uno dei testimoni deve prendere in mano la situazione e leggere “la lizinziata“, cioè la formula per allontanare il Guardiano.
Il rituale non sempre va a buon fine la prima volta per cui occorre ripeterlo più notti, fino al manifestarsi del custode.
In rete abbiamo trovato il racconto, fatto da uno dei “testimoni”, di una di queste cerimonie, avvenuta nel 1937 nelle campagne di San Pantaleo. Purtroppo la pagina internet è introvabile per cui se qualcuno di voi lettori sa qualcosa in merito, sarebbe bello approfondire insieme.
Ora vi lasciamo al racconto:
“Una volta, anche a nome di altre persone, venne chiamato un tale che era in possesso di “lu libru di lu cumandu“.
Il tesoro era nascosto nelle vicinanze di un gruppo di case, nella campagna di San Pantaleo. Appena iniziata la lettura, si posò sul tavolino un’ape più grande del normale, ma non era un “abbu masciu” (un fuco).
Il lettore continuò la lettura, chiamando il demonio con i più svariati nomi, ma l’ape, che era il demonio, avanzò verso di lui e gli si infilò sotto la camicia; subito l’uomo svenne e i due testimoni lo trascinarono immediatamente fuori dal cerchio, adagiandolo, sempre svenuto, sotto un’albero di olivastro, dimenticando, però, di fare la “lizinziata“.Il poveretto, durante lo svenimento, aveva la lingua penzoloni e la bocca piena di schiuma. Dopo un pò l’ape uscì dal collo della camicia e volò via.
I due testimoni ricordarono allora di non aver fatto “la lizinziata“; uno rientrò nel cerchio, afferrò il libro e fece la lettura.
Il colpito dal maleficio, dopo circa mezzora rinvenne e fu portato in una delle case vicine dove si trovavano molte persone accorse tutte dagli stazzi vicini in attesa del risultato della cerimonia.
Il possessore “di lu libru di lu cumandu” fu malamente schernito, perchè in precedenza aveva decantato l’efficacia dello stesso libro e aveva preteso il pagamento anticipato di lire cinquanta e molti presenti si erano quotati per raggiungere tale cifra.”
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