L’amica Claudia Zedda , autrice del libro “Creature Fantastiche in Sardegna” ci ha gentilmente autorizzato alla pubblicazione di un suo articolo relativo ai culti dell’acqua in Sardegna.
L’importanza dell’acqua è oggettiva ed è vera per la terra sarda, come per molte altre terre. Nei suoi confronti si sono sviluppati moltissimi culti, rivolti ai fiumi, ai laghi, alle piogge, e i rituali all’acqua votati avevano tutti un’affascinante sfondo magico, che tentava un controllo sul flusso delle stesse.
Là dove le acque erano fin troppo abbondanti, e dunque nocive, si tentava di gestire con i rituali, alluvioni e inondazioni, là dove erano quasi totalmente assenti, le si invocava.
Quindi acqua come elemento fondamentale, che ha sempre rivestito un’importanza notevole all’interno della società. Tradizionalmente rigenerava o cancellava la memoria (Fiume Lete), purificava (diluvio e battesimo) e proprio nell’acqua la vita secondo greci e latini aveva avuto vita. Era custode del passato, del presente e del futuro. Le sibille, invasate dal nume erano capaci di interpretarle, di rivelare il futuro e di leggere il passato.
Ma non erano le acque a parlare, queste erano semplicemente dimora degli spiriti, affermazione vera anche per la Sardegna se si pensa che fino a non troppo tempo fa, la tradizione voleva che ci si segnasse prima di bere. Essendo l’acqua dimora di spiriti maligni, bere senza precauzione poteva significare essere posseduto da uno di questi, ingerito per mezzo dell’acqua.
In Sardegna si sviluppano due tipologie diverse di culti delle acque, che sono effettivamente specchio delle due economie predominanti, l’una pastorale, l’altra agricola.
Il culto delle Fonti, o delle acque freatiche, si sarebbe connesso secondo Giovanni Lilliu e Vittorio Lanternari al mondo pastorale sardo. E di questo culto noi abbiamo residui archeologici di tutto rispetto. Penso all’architettura religiosa nuragica rappresentata dai pozzi sacri. E per citare i due più famosi parleremo del pozzo di Santa Cristina a Paulilatino e il complesso megalitico di Santa Vittoria sito in Serri.
Diverso il culto delle Piogge che per natura si lega al mondo agricolo e contadino. Diffuso in tutto il mondo mediterraneo senza esclusione, questo culto ha lasciato tracce decisamente meno nette. Nessun edificio, perché l’utilizzo forse non era richiesto nei rituali evocativi. Ma se andiamo ad esaminare la tradizione che miracolosamente ci ha raggiunto troveremo figure emblematiche quali su Maimone, demone fautore di pioggia, che ancora oggi viene invocato, un pò per gioco, un pò perche non si sa mai, quando la pioggia scarseggia.
A questi demoni piovani pare venissero concessi ad esordio sacrifici umani, che si fecero poi animali ed infine simbolici, seguendo l’evoluzione societaria.
Residuo culturale di questi probabili sacrifici umani è una poesia raccolta da Francesco Enna in Sos contos de foghile. Si tratta di una cantilena di singolare bellezza, e viene intitolata Sa Paristoria di Maria Giusta (Macomer).
Racconta di una donna che si reca a cercar legna d’ardere. Improvvisamente cade un fulmine che incenerisce un leccio e contemporaneamente da una scure priva di manico fuoriesce una fata. Capelli d’oro e cuore di colomba, così viene descritta, e questa rende noto alla donna che per far sgorgare in abbondanza acqua dal vicino pozzo, dovrà buttarvi dentro la scure. Ma la donna beve e si dimentica di quanto detto dalla fata. Trascorre meno di un anno e d’estate la siccità si fa tremenda. Tutto si secca, anche il figlio della donna che d’improvviso ricorda l’incontro con la fata e cerca disperatamente la scure, ma non riesce più a trovarla. Sentirà ancora la voce della fata ma questa volta le parole avranno un gusto più amaro. “S’abba no naschet si sambene non paschet” (l’acqua non nasce se il sangue non pasce). La donna comprende il significato del dire della fata e si butta nel pozzo. Miracolosamente l’acqua prende a zampillare.
Questa leggenda è carica di simbolismi e si riconnette ai ritrovamenti portati alla luce nel complesso di Santa Vittoria. Le statuette ritrovate, rappresentavano colombe, madre con figlio e ascia bipenne, la labrys, di derivazione micenea, uno dei simboli religiosi più antichi della zona mediterranea e mediorientale, connessa al Dio Toro Sole e la Dea Vacca Luna.
Ma l’acqua in Sardegna ha anche un valore terapeutico. Commentatori classici (Solino III d.C. attingendo da Sallusio) raccontano che le acque della Sardegna sono una benedizione. Calde e miracolose, capaci di curare occhi e ossa indebolite. La Turchi racconta di una fonte termale che con probabilità si trovava in Benetutti, capace di curare 101 mali.
Pettazzoni approfondisce ancora e racconta che le acque sarde erano utilizzate anche nelle ordalie. In caso di adulterio, procreazione illegittima e, furto, si giudicava il sospettato immergendolo nelle acque. Il demone che nelle stesse riposava avrebbe appurato innocenza o colpevolezza dell’individuo premiandolo o punendolo. Avrebbe perduto la vista se colpevole, l’avrebbe avuta migliorata nel caso in cui si fosse rivelato innocente. Ecco spiegate, secondo Petazzoni le statuette sarde ( Eroe dai quattro occhi e dalle quattro braccia proveniente da Teti di Nuoro) che posseggono innaturalmente 4 occhi e braccia.
I libri di Claudia
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