Ancora oggi per me e un’emozione andare a cercare grotte in montagna, in boschi di lecci e corbezzoli sotto il sole caldo d’estate, o il freddo pungente dell’inverno.
Ma andare a cercare le grotte all’interno delle montagne e ancora più emozionante, entrare nel sottosuolo tramite gallerie del XII secolo (conosciute come lavori Pisani) o attraverso quelle dell’inizio del secolo scorso, tutte differenti fra loro per grandezza e per struttura; le prime strette sia verticalmente che orizzontalmente, le seconde tutte di varia profondità e lunghezza, importanti a livello industriale.
Entrare in gallerie e percorrere sentieri senza tempo per centinaia e centinaia di metri, facendo attenzione a non perdersi in meandri e cunicoli, e camminare sulle impronte lasciate dai minatori che ci hanno preceduti, in questi posti dove il tempo non ha età; scendere in pozzi minerari di piccole dimensioni e trovarsi di fronte a grandi sale, annerite dai fumi del legno bruciato durante gli scavi.
L’entusiasmo di trovarsi di fronte a queste meraviglie ancor oggi intatte crea una certa emozione in noi, e gli occhi non bastano per vedere tutto.
Una piccola galleria con i resti del fuoco, legni anneriti, piccoli cumuli di minerali mischiati al carbone abbandonati in questi posti misteriosi da antichi uomini; seguire muretti a secco lungo i cunicoli stretti e fare attenzione a non distruggere la storia.
E’ un’emozione continua: non più solo il piacere di andare in grotta, ma l’entusiasmo di riscoprire questi luoghi e immaginare come si svolgeva il lavoro.
La roccia, nel periodo detto “pisano”, non veniva aggredita con motopicco, dato che allora non esisteva l’aria compressa, né si conosceva la perforazione e la polvere nera. Tutto avveniva invece attraverso il “piroscavo”.
Il legno veniva posto là dove si voleva scavare e gli si dava fuoco: dopo che la roccia era stata resa incandescente si gettava sopra dell’acqua.
Il raffreddamento repentino della massa creava crepe e fratture che venivano poi attaccate a mano con scalpelli e picconi. Con questa tecnica primitiva sono stati scavati chilometri di gallerie e discesi centinaia di pozzi.
Ho lavorato in Miniera in tempi moderni, e vi posso garantire che non era facile, con il caldo e l’umidità che si sprigionava lungo le strette gallerie, con tecniche ancora antiche e con indumenti moderni. E perciò non riesco davvero ad immaginarmi la forza di volontà di quegli uomini, forse vestiti solo di straci, in assoluta mancanza di qualunque tipo di sicurezza, lungo cunicoli, discenderie e pozzi stretti, il caldo dei fuochi che ti avvolgeva, l’aria satura di fumo che bruciava i polmoni.
Nonostante tutto non riesco ancora ad immaginarmi i loro visi di sofferenza e i loro corpi martoriati dal caldo e dalla roccia tagliente. Immagino solo la loro gioia nell’uscire al sole del giorno o al fresco della notte, perché e un’emozione che ho provavo anch’io.
Oggi ci si chiede chi sia colui che a iniziato per primo ad andar per grotte; ma questi uomini ci andavano già intorno al 1200.
Andavano in grotta senza saperlo, e lo facevano, entrandoci con i lumini ad olio, vestiti sommariamente, e percorrevano cunicoli e meandri alla ricerca del prezioso metallo superando pozzi di notevoli dimensioni con canaponi (antiche e grosse corde di canapa) e pezzi di legno che incastravano fra le strette pareti per calarsi verso il basso.
Il metallo che cercavano era generalmente la galena argentifera, molto comune nella regione calcarea paleozoica del Sulcis e Iglesiente. L’argento lo si trovava anche nel sarrabus e nella zona del Guspinese, ma qui i cunicoli minerari non intercalavano vuoti carsici perché scavati in terreni differenti. Prima della scoperta dell’America e degli enormi giacimenti di Tasco, nel Messico, l’argento ha avuto in Europa una funzione molto simile a quella dell’oro: era carissimo e molto ricercato, in grado di finanziare guerre e di determinare lo scoppio di conflitti fra grandi potenze.
Chi scende oggi, come noi, in quei pozzi aperti qua e là lungo le gallerie, utilizza chiodi inossidabili, corde robuste e materiali raffinati. Scendiamo con una tranquillità che quegli uomini, spesso perchè costretti, non potevano avere: la loro era rassegnazione ad infilarsi un giorno dopo l’altro in quei gironi infernali, roventi e saturi di fumo.
Noi ci anneriamo le narici col fumo dell’acetilene e ci riscaldiamo per l’emozione di scoprire grotte nuove o di ritrovare gli antichi segni di quella attività mineraria cosi disumana.
Per me è un’emozione che porto dentro fin da bambino, quando ascoltavo i racconti di mio Padre. Lui ha lavorato in miniera per 30 anni e le sue scoperte di antiche lucerne ad olio, di strani attrezzi da lavoro, di enormi grotte diventavano per me storie fantastiche.
Mentre gli altri ragazzini ascoltavano le fiabe classiche io già incominciavo a costruire nelle mia testa quella strana geografia di gallerie di miniera e grotte che più tardi mi avrebbe aiutato a esplorare quel mondo dimenticato. E oggi, anche senza volerlo, sono io a trasmette ad altri , ai miei amici Speleologi, l’emozione della scoperta con i racconti di cose non scritte sui libri, di posti strani e affascinanti. Quando parlo di miniere e di grotte mi ascoltano e si sentono coinvolti.
I pezzi di legno che servivano un tempo a tenere la volta della galleria oggi crollata fanno una certa impressione, sembrano scheletri anneriti dal tempo in mezzo ai massi, e sembra che tutto l’insieme debba crollarti addosso, da un momento all’altro. Con passi felpati superiamo la frana e possiamo continuare l’esplorazione.
E’ un’emozione unica quando trovi la grotta e scendi in profondità dentro la montagna, sapendo che sopra di te ci sono centinaia di metri di roccia e hai percorso tanti metri di gallerie. Tutto è diverso, il tempo, l’aria… l’aria che respiri è diversa; non sei solo in grotta, sei dentro la montagna, nel suo cuore. E camminando lungo queste gallerie, sembra di sentire il sangue pulsare come fossimo dentro le sue vene e sentirsi avvolti dal caldo del suo corpo.
Lamenti.
Nella valle delle miniere terra di sofferenze e di
lamenti antichi, echi di lotte ciclopiche che non
torneranno più dove tra terre rosse e case di fango
si moriva di stenti, con i figli in seno e l’uomo
sepolto dalla mina, portami via con te lontano
dove si muore ma non di terra.
Ogni grotta ha il suo stillicidio, ogni stillicidio il suo paiolo, che serviva per la raccolta dell’acqua, importantissima in miniera.
L’acqua era tutto: serviva per bere, anche per rifornire l’unica fonte di luce, la lampada a carburo.
E se la fonte era importante, la sua acqua veniva usata anche per l’abbattimento delle polveri durante la perforazione.
La candela a carburo, come si chiamava a casa mia da piccolo, ha illuminato le mie serate familiari fino negli anni ’60, e ancora ricordo il nero fumo intorno ai piatti durante la cena.
Ogni stillicidio ha il suo paiolo e al livello più 180, cantiere “ossidati” della Miniera di S. Giovanni di Iglesias, ben 5 grotte portano lo stesso nome: grotta del paiolo prima, grotta del paiolo seconda, e cosi via. Una di queste, la grotta del paiolo quinta, comunica col livello più 150 attraverso un salto di 30 m.
La strana bestia (il paiolo) veniva usato per la raccolta del minerale abbattuto alle fronti:
L’operazione si chiamava sgombero a marra e paiolo. L’uomo curvo sul materiale caricava il paiolo con la marra e lo scaricava nel vagone. Venticinque paioli ogni vagone, diciotto vagoni una giornata.
Nei cantieri che stiamo esplorando, ormai completamente abbandonati dagli anni ’80, finito lo sfruttamento del minerale, è pieno di strumenti di lavoro: paioli, marre, vagoni. Tutto a testimoniare il lavoro massacrante dei minatori, tutto ormai completamente avvolto dalla ruggine.
Da 5 anni andiamo a esplorare a San Giovanni Miniera. Fino ad oggi abbiamo rilevato circa 50 grotte nei livelli alti, la parte non allagata. Ne cito alcune fra le più importanti, Grotta Quarziti, Grotta Albert da n°1, a n°7, Grotta dei Pisani, Grotta del livello 300,Grotta dei 2 pozzi, Grotta Azzurra, Grotta del Chieving, Grotta S.C.F. Tutte profonde o di grandi dimensioni.
Purtroppo per noi molte di queste cavità venivano usate per buttare all’interno lo sterile il materiale non ricco in metallo: era un costo portarlo all’esterno e allora lo si buttava dentro le cavità, con grande risparmio per la società mineraria.
Ripercorrere le gallerie oggi avendo però vivo nella memoria il ricordo di ciò che qui accadeva un tempo, il silenzio assoluto che pervade questi luoghi che ho visto pieni di gente e di rumore, tutto ciò mi da una grande sofferenza. Sapere che tutto è morto, tutto è in abbandono, il chiasso fracassante delle pale in sgombero, le bestemmie di chi vedeva andar male qualcosa, il rumore delle perforatrici, lo scricchiolio continuo del legname sotto il peso della montagna. I quadri in castagno cantavano al mio passar veloce, mentre spingevo un vagone da 600.
Durante lo scavo delle gallerie il ferro o l’asta di perforazione scompariva all’improvviso dentro la montagna: voleva dire grotta o, crevassa in gergo minerario. Allora si caricavano le mine con attenzione, per non distruggere quello che c’era dentro la crevassa.
Dopo il brillamento si aspettava che il fumo dell’esplosione uscisse fuori e si andava a controllare.
Se era una crevassa con cristalli di calcite (ad esempio scalenoedri) o altri cristalli barite, blende, ecc. automaticamente veniva depredata; se si trovava lungo l’asse della galleria principale veniva subito distrutta dalle mine e non rimaneva più nulla da vedere, se invece era parallela alla galleria non veniva distrutta dalle mine ma dall’uomo che asportava tutto quello che era possibile, e quasi sempre, se non era un appassionato di cristalli, i minerali venivano venduti ai vari collezionisti per pochi soldi.
Ho incominciato a lavorare in Miniera nel 1974, e ho lavorato con tanta gente; ho visto i visi di molte persone durante il lavoro; volti duri, particolari che non vedi altrove.
Adesso sono in pensione, gia da alcuni anni, ma l’andar ancora in questi luoghi mi coinvolge in modo particolare. Nel mese di aprile abbiamo disceso una trentina di pozzi del periodo detto “pisano”; nei mesi scorsi abbiamo rilevato alcune grotte nuove, con gli amici dell’Unione Speleologica Cagliaritana .
C’è ancora tanto lavoro da fare. Ho voglia di esplorare, voglio ripercorrere queste gallerie.
Qui dentro sono trascorse tante vite, di centinaia di minatori, quella di mio Padre. E anche la mia è trascorsa qui dentro. Non posso lasciare, non posso non ricordare.
Testo e foto:
Papinuto Silvestro