Nelle leggende di Sardegna possiamo trovare degli esseri fantastici legati alla metamorfosi uomo – animale.
La credenza che determinate persone possano trasformarsi in animale è presente in alcune zone della Sardegna in forme e con nomi diversi ma i più famosi sono Su Boe Muliache e S’Erchitu. Queste due figure hanno dei tratti in comune e spesso vengono confuse, ma sono ben distinte.
Gli elementi comuni a queste figure sono sostanzialmente tre: il fenomeno colpisce solo gli uomini, la trasformazione è solo notturna, chi diventa Boe Muliache o Erchitu non agisce volontariamente ma è condannato a trasformarsi perche soggetto ad un orribile destino o al potere diabolico o divino.
Per quanto riguarda su Boe Muliache la leggenda racconta sia un uomo che a causa del suo destino avverso, tra mezzanotte e l’alba, assume aspetto e comportamento bovino. Ci sono teorie contrastanti: alcuni narrano non si tratti di una vera e propria trasformazione, piutosto di un “imbovarsi”, cioè di un incarnarsi dello spirito umano, che lascerebbe quindi il corpo la notte, in un bue.
Altri affermano il contrario, cioè che sia lo spirito di un Bue ad incarnarsi nel corpo del malcapitato, che quindi assumerà comportamenti bovini. In un caso o nell’altro, l’uomo-animale vaga nella notte emettendo muggiti spaventosi, producendo rumore di catene, rivoltandosi sul terreno.
Enrica Delitala riporta nel suo libro “Fiabe e leggende nelle tradizioni popolari della Sardegna” il seguente racconto:
“Il boe muliache è un uomo che diventa bue perchè questo è il suo destino.
Si racconta che un giorno un ladro di bestiame è andato a rubare. Ha visto un bel vitello grasso e se ne è innamorato; se l’è portato via e nella sua stalla l’ha legato per le corna.
Pensava di ucciderlo l’indomani per far festa con gli amici. L’indomani mattina va per ucciderlo e trova un uomo legato per le corna: era uno del paese che egli naturalmente conosceva.
Era un uomo infelice, che sapeva di avere questa malattia e se ne doleva. Allora il ladro di bestiame si è informato, gli ha fatto fare la cura del caso, chiesa e cimitero, e così l’uomo è guarito perfettamente”.
Per quanto riguarda S’erchitu, siamo in presenza di una vera e propria maledizione, una condanna divina. l’uomo che ne viene colpito si trasforma in un toro dal terribile aspetto: due grandi corna d’acciaio o due candele accese sulle corna stesse.
La trasformazione avviene per espiare una grave colpa, in genere un omicidio non punito dalla giustizia terrena. La maledizione può essere interrotta solo dal taglio netto delle corna o dallo spegnimento delle fiammelle delle candele.
Sempre la Delitala riporta una testimonianza della fine del 1800:
“In quasi tutti i villaggi della Sardegna credevano un tempo, e alcuni credono ancora, che l’uomo sia soggetto a trasformarsi in animale, specialmente di notte, in Erchitu, per castigo di Dio.
Questo animale misterioso va coi demoni, e in quel luogo disgraziato in cui muggisce tre volte insieme, deve succedere qualche grande disgrazia (o morte improvvisa o grave malattia).
Questi uomini che sono così condannati da Dio, quando la moglie e tutta la famiglia dormono, si alzano pian piano, si vestono, aprono la porta piano piano, e vanno dietro alla compagnia dei diavoli che stanno fuori.
A poco a poco le gambe gli si fanno di toro, sulla testa gli vengono due grandi corna con la punta di acciaio, le braccia diventano zampe e si fanno tutte pelose, da dietro gli esce la coda, e cominciano a emettere muggiti che incutono terrore.
Si raccontano tante storie e tanti fatti su questo animale. Le donne lo riconoscono alla voce e al passo. la mattina appena levate, subito vanno dove è la comare e, impaurite, si mettono a fare mille racconti su questo animale.
Da qui a tre mesi morirà un prete, un padre di famiglia, ecc. Stanotte è passato l’Erchitu proprio vicino a casa. ero addormentata e mi hanno svegliato i muggiti che spaccavano il cielo“.
Tra le storie riferite dalla fonte ottocentesca, una riguarda due studenti, uno dei quali era Erchitu:
“Questi due studenti stavano in una stessa casa e dormivano in uno stesso letto. Uno di questi, si chiamava Antonio, era solito lasciare il letto da mezzanotte alle quattro di mattina. Il compagno non sapeva cosa pensare e non riusciva a spiegarsi le ragioni di questo alzarsi.
Domanda al compagno perche si alzasse sempre a quell’ora fissa e perchè ad un’ora fissa ritornasse.
Ma Antonio non gli diceva niente.
Alla fine, dopo tanti mesi, un giorno racconta al compagno la storia della sua sorte disgraziata:
– Io come tu sai, ho un vizio troppo cattivo, ed è il vizio dell’ira. Un giorno, giocando tra compagni, vengo a parole ingiuriose con uno, e io, che non potevo sopportare le parole ingiuriose che mi aveva detto, gli sto sopra e lo uccido.
I compagni che mi temevano non hanno rivelato nulla, perchè tante volte li avevo minacciati. Ma poichè la giustizia del mondo non mi ha potuto castigare, mi ha castigato la giustizia del Cielo. E in che modo, povero me! Quattro o cinque giorni dopo quel fatto, una sera, mentre ero coricato, sento bussare forte alla porta. Mi alzo e chiedo chi sia. – Il re -, mi risponde una voce che mi fa fremere come una canna. Mi vesto e apro pronto a consegnarmi alla giustizia; ma era la giustizia divina.
A capo di tutti era un diavolo grande con due corna, uno portava il tamburo, erano vestiti tutti di colore diverso; dalla bocca e dalle narici gli uscivano fiamme di fuoco e in fronte avevano un corno di acciaio.
Subito mi viene un tremore, un dolore a tutta la persona, mi sento mancar le gambe, due corna grandi mi sento uscire sulla fronte, le mani si fanno piedi di bue e tutto mi averto peloso e con una coda lunga. La bella compagnia mi mette in mezzo e comincia, a suon di tamburo, a beffarmi portandomi in processione per tutto il paese.
Dove comandava il capo, io dovevo muggire; la compagnia si fermava e faceva una sonata a gloria del povero che doveva morire.
La mattina tornavo come prima in forma umana, alle quattro. Ora conosci il motivo per cui dalle dodici alle quattro manco dal letto. Però, visto che ti ho detto questo, ti dico tutto. Ci vuole un giovane coraggioso perchè mi possa salvare, e deve troncarmi con un colpo solo quelle grandi corna che ho in testa.
Ma mi pare impossibile trovare un uomo tanto forte e coraggioso da non aver paura di vedermi trasformato in quel modo. Nè io vorrei che un giovane rischiasse tanto per me.
– Mi dispiace, Antonio, non aver saputo questa cosa prima di oggi; forse oggi saresti sano e tranquillo come desideri. Voglio tentare di salvarti, io e nessun altro, voglio avere questo onore. Vai e stai tranquillo: se la medicina è quella, tu tornerai sano come prima.
Stabilisci un’ora; questa notte stessa si deve fare questa faccenda.
Dapprima Antonio non voleva acconsentire; ma, dietro le insistenze di quello, risponde: – Va bene; se sei uomo, stanotte all’una mettiti in tale canto perchè io non mancherò di passare di là. Guarda che ti getterò un paio di grugniti; tu non avere paura; afferra una scure di acciaio e colpisci forte quanto puoi le corna. se il colpo riesce mi rivedrai come mi vedi ora.
Il giovane, che si sentiva pieno di coraggio, fa tutto come Antonio gli ha detto, rassegnato a ricevere perfino la morte per l’amico.
Cerca una grande scure di acciaio fino, e con quella si mette la notte in un canto che gli aveva indicato Antonio.
All’una si sente un suono di tamburo e di trombe; si accorge che si stava avvicinando la maledetta truppa. dopo un pò vede questo toro, grande quanto una casa a pian terreno, con due corna come forche.
Quando stava passando vicino a quel canto, presso il compagno, getta due muggiti da far tremare. ma quello non ha paura; alza la scure con tutte e due le mani, la abbassa di furia sopra le corna dell’erchitu, e le sradica entrambe.
Le corna cadono a terra e, che meraviglia! Antonio ritorna in forma umana e gli amici si abbracciano sani e allegri.
E da quel giorno Antonio è stato libero dal castigo.
Le corna le prendono e le conservano per medicina, per il dolore alla milza.”