Prendendo spunto dall’articolo di Paolo di qualche giorno fa, abbiamo fatto una piccola ricerca sulla tradizione del “Cantare il maggio“.
Effettivamente è una tradizione antichissima presente anche in Italia e nel resto d’Europa…
La tradizione del Canto del Maggio è di chiare origini pagane, si svolge il primo maggio per festeggiare l’arrivo della bella stagione e rappresenta l’esaltazione della vita che si rinnova al ritmo della natura: la primavera come rinascita e maggio come il mese più rappresentativo di questa stagione.
Questa festa (Calendimaggio, Beltane) è nello stesso tempo gioia di vivere e celebrazione del mito della fecondità. Queste due caratteristiche indissolubili, confermano l’origine pagana di questa tradizione che è stata mantenuta intatta nella sua esteriorità più tipica fino ai primi decenni del nostro secolo.
A Marzio, vicino a Varese, le prime notizie di questa tradizione risalgono a due secoli fa. Inizialmente partecipavano al canto solo le ragazze, più tardi si sono aggiunti anche i ragazzi.
Ancora oggi il giorno precedente alla festa viene prelevato un ramo di ciliegio selvatico in fiore che successivamente viene addobbato con i nastri e i fiocchi che una volta servivano alle ragazze per abbigliarsi. Il primo maggio il ramo fiorito viene portato di casa in casa dai ragazzi che intonano il Canto del Maggio.
Un tempo si cantavano frasi augurali differenziate per ogni singola famiglia, con strofe appositamente pensate per il sacerdote, il sindaco, la maestra, ecc.
Gli abitanti del paese per ringraziare i ragazzi offrivano uova e salumi.
In passato era molto importante l’aspetto gastronomico di questa tradizione poiché, al termine dell’inverno, nelle famiglie più povere le ristrettezze alimentari si facevano sentire e la possibilità di una cena più ricca del solito era cosa molto gradita soprattutto ai ragazzi.
Ogni anno a turno una mamma si prestava per organizzare la cena che si trasformava in una grande festa.
Con quanto ricevuto venivano preparate grandi frittate che erano poi consumate dai partecipanti in un’abitazione privata, poiché allora i ragazzi non erano soliti frequentare luoghi pubblici.
In seguito, poiché la maggior parte degli abitanti non lavorava più la terra e non allevava più animali, alle uova fu sostituito il denaro. Con il denaro raccolto era organizzato un pellegrinaggio la cui meta è stata per molti anni la Madonna di Caravaggio. Ancora oggi numerosi marziesi ricordano che da bambini non si allontanavano quasi mai dal paese e il pellegrinaggio era la sola possibilità di fare una piacevole gita alla scoperta del mondo.
In Toscana tra il 30 aprile ed il 1° maggio di ogni anno un gruppetto di uomini (i “maggiaioli”) gira per i poderi della campagna e poi negli abitati della Rocca e di Castiglione d’Orcia, fermandosi davanti alle case ed intonando un canto (le “strofe del maggio”) che celebra il ritorno della buona stagione ed augura agli abitanti della casa salute e prosperità; tra una strofa e l’altra, mentre i maggiaioli vanno verso un’altra casa, una piccola banda di strumenti a fiato esegue delle marcette.
Ad ogni casa i maggiaioli ricevono un piccolo rinfresco (vino e uno spuntino) e del denaro, che verrà poi utilizzato per una merenda.
I maggiaioli cominciano il giro in alcuni poderi nel pomeriggio del 30 aprile ed arrivano alla Rocca dopo la mezzanotte del 1° maggio; dopo attraversata la Rocca, verso le due proseguono per Castiglione e terminano il giro all’alba davanti al cimitero, dove vengono cantate le ultime strofe in ricordo dei maggiaioli scomparsi.
La melodia su cui sono cantate le strofe e la tecnica dei cantori solista e coro di risposta) si avvicinano da altre forme di musica popolare “arcaica” dell’area mediterranea, come il canto tipico sardo.
Una tradizione analoga del “maggio” sopravvive, oltre che a Castiglione ed alla Rocca, in alcune zone della Lucchesia e nella maremma grossetana (Castilgione della Pescaia).
Nelle Langhe si usava piantare un pino nelle piazze dei paesi, ornato di nastri e all’ombra delle sue fronde si svolgevano feste, merende, canti e danze.
Negli annali della Curia Vescovile di Alba, si ha notizia che nel 1584 un vescovo, in visita apostolica ad Alba, si sia lamentato per l’abuso di questa festa pagana, festa diffusa in ogni più piccolo paese della diocesi. Questo il rimedio da lui proposto: “poiché, infatti, quelle feste erano nate più da una pagana superstizione che non da attione cristiana, invece di loro, si dirizzino delle croci in tutti li cappi delle strade pubbliche”.
Nonostante l’azione nefasta della Chiesa verso questi riti tradizionali e profani, l’uso si mantenne vivissimo per lungo tempo e ancora oggi i vecchi ne conservano i ricordi di quando erano ragazzi.
La forma del calendimaggio più tipica e diffusissima in Langa era questa. Tre fanciulle giravano di porta in porta, il primo maggio (a volte anche in altre domeniche del mese); quella di centro, la sposa di maggio, vestiva in maniera sfarzosa e aveva in testa un delizioso cappellino a larghe falde. Sul seno portava il rametto di pino ornato di nastri. Le due damigelle che le facevano corona avevano, una un canestro per le uova e l’altra una borsa per i soldi.
Mentre di porta in porta attendevano l’offerta in denaro o in natura delle famiglie a cui rendevano visita, levavano il loro canto. L’inizio era conforme al canto delle uova, con le solite strofe adatte ad ogni canto di questua: il saluto al padrone di casa, i complimenti alla gente della famiglia con particolare attenzione alle ragazze.
Il punto centrale del cantar maggio rimaneva comunque l’esaltazione della sposa:
E si veuli nen cherdi
che magg a sia rivà,
oh feve a la finestra
lo veddi ben dòbà.
Guardé la nostra spusa
come l’é ben dòbà
luntan sin quanta mjia
a sarà numinà.
Lo scopo della questua era quello di raggranellare qualcosa, magari per il vestito nuovo. Come già nel canto delle uova, non mancano anche quì le imprecazioni e gli avvertimenti se non si ottiene nulla:
Signora la madama
se chila an na da nent
preguma la Madona
ch’ai fassa casché i dent
E nella maledizione, anche se il rito è pagano, viene chiamata in causa la Madonna a significare la solennità e l’importanza dei calendimaggio. Su tutto, la esaltazione del maggio, ripetuta più volte come un ritornello:
Ben vena magg,
ben staga magg,
tournerouma al meis ed magg!
Il ritornare a maggio, rappresenta una forma di incantesimo, una necessità pagana di ripresentare il maggio anche negli anni a venire con continuità.
Più anticamente i doni venivano richiesti in nome di una divinità vegetativa che si credeva incarnato nel maggio, portato dalle fanciulle di casa in casa. Di qui l’abitudine di non negare l’offerta, per non offendere lo spirito vegetativo che in primavera rinasce e dal quale dipendono la fertilità della campagna e la ricchezza dei raccolti. Già presso i Romani, la festa pagana di Attis vedeva il pino tagliato e adornato di bende e ghirlande. Le stesse bende che in Langa adornavano il pino delle ragazze.
L’antica festa celtica di Beltane (fuoco luminoso) è il giorno con cui incomincia la fase estiva delle attività legate alla terra e una volta era il momento in cui il bestiame veniva portato ai pascoli dopo lo svernamento e la benedizione dei falò accesi.
Tradizionalmente si saltava attraverso i falò di Beltane per predire l’altezza del raccolto dai salti effettuati. Il popolo danzava intorno al palo piantato al centro dello spiazzo dove si teneva la festa, un palo ben piantato a terra che si innalzava verso il cielo, un palo simbolo di vitalità; Poi si raccoglievano i fiori e si passavano notti insieme sotto le stelle nel bosco.