Le storie di ordinaria follia non le ho mai capite, fino a quando, forse non è toccato a me così ho finito per crederci, credere nei racconti di bottega, dove pensi che sono tutti pettegolezzi.
Ma quel giorno lo ricorderò finchè vivrò, e forse lo racconterò ai miei nipoti, così come sto raccontandolo a voi.
Tutto cominciò quando arrivati ad Arbus io e alcuni miei amici, abbiamo deciso di prendere un caffè al primo bar che incontriamo. Entrando ci accoglie il solito brusio di radio e persone che parlano piu o meno a bassa voce.
– Cosa posso fare per voi? – Disse la ragazza al banco, – 3 caffè grazie – e ci sedemmo.
Un ragazzo sui trenta si avvicinò a noi riconoscendo evidentemente l’estraneità al Paese che era sulla strada del mare;
– ciao sono Antioco, non siete di qua vero? – No, rispondiamo,
-Ho una cosa per voi.- Noi ci guardiamo con espressione stupita, e gli diciamo che non siamo in cerca di nulla pensando ovviamente che il tipo ci vuole vendere droga.
Il tipo doveva essere molto perspicace, perché capito subito il nostro pensiero si affretta a smentire calorosamente. -Noooo voglio solo farvi vedere una “cosa” , siccome non mi crede nessuno del mio paese, forse voi crederete.-
Il tutto detto in un sardo stretto che noi di Cagliari abbiamo faticato a capire. Insomma tanto ha fatto che decidiamo di seguirlo, non foss’altro per la curiosità suscitata in noi.
Saliamo sulle moto e lui sulla sua apetta 50.
Finiamo fuori paese, per fortuna verso la direzione che dovevamo prendere per il mare, ma dopo circa 3 km Antioco gira a sinistra e già dentro me si insinua un piccolo dubbio e la fiammella del pericolo, e sorrido, dico siamo in tre belli grossi, mica abbiamo paura!
Passano altri 5 o 6 km sotto le ruote, alla fine guardandoci negli occhi, avevamo il casco, ci diciamo
-è ora di tornare indietro- ma Antioco proprio in quel momento si ferma, e dice che siamo quasi arrivati.
Arriviamo in un ovile pieno di pecore e capre, scendiamo e controllo che ora abbiamo fatto e scopro che in quel cocuzzolo non cè linea, un caldo che a ripensarci ora mi sembra impossibile.
Ci invita dentro per bere un po’ d’acqua fresca, entriamo, beviamo, e il tipo ci dice entrando in una stanzetta, aspettate e vedrete.
Passano circa 5 minuti e scocciati per esserci lasciati fregare da chissà quale curiosità mettiamo i caschi e usciamo per inforcare le nostre moto.
È una parola, le nostre moto, sparite, non c’erano più, ma non abbiamo sentito nessun rumore, le chiavi nella nostra tasca eppure.. pufff.. volatilizzate, e noi in mezzo alla montagna, senza cellulari, perché non c’era campo! Tra risate nervose e un vocabolario molto eloquente per la situazione che stavamo vivendo, riprendiamo, questa volta a piedi (l’apetta era sparita) la strada del ritorno e dopo circa 20 km arriviamo a Arbus.
Era già sera ed eravamo molto, per così dire, alterati.
Con promesse di vendetta e non solo, andiamo verso il bar dove la mattina avevamo preso il caffè e incontrato Antioco. Con nostra grande sorpresa vediamo le nostre moto parcheggiate davanti all’ingresso e Antioco che beveva una birra seduto a tavolino.
Molto arrabbiati andiamo verso di lui che ci dice, -eilà, ma dove siete finiti vi stavo aspettando per farvi vedere questo- e così dicendo ci fa vedere due cuccioli di Breton che voleva regalarci, perché, a suo dire non poteva tenerli che non aveva posto!
Con urla e rimbrotti gli diciamo che ci ha mollato in montagna rubandoci le moto e facendoci fare a piedi tutta quella strada, ma lui con calma risponde che forse avevamo preso un colpo di sole, perché la mattina secondo lui e purtroppo anche secondo la barista, abbiamo lasciato le moto la e siamo andati a piedi verso la piazza, e poi non ci hanno piu visto!
Ecco la mia storia, e siccome ne io ne i miei amici facciamo uso di droga, secondo voi quel caffè era drogato? O siamo usciti fuori di testa in tre?