Tutti conoscono Pattada e il suo celebre coltello; ma anche la parte meridionale della Sardegna vanta bei coltelli dalle lontane origini, come ad esempio quelli a lama panciuta.
Sui coltelli sardi antichi sappiamo molto meno di quel che ci piacerebbe sapere.
La vitalità dell’attuale produzione artigianale sarda ha forti e profonde radici che attingono a una tradizione antica e diffusa, le cui articolazioni locali sono però ancora in gran parte da individuare.
Risulta perciò difficile definire i singoli modelli, con le loro precise caratteristiche tipologiche che li distinguano da altri magari simili ma attribuibili ad una diversa area dell’isola o a un periodo differente. Dopo il fondamentale lavoro di Giancarlo Baronti, “Coltelli d’Italia” (praticamente la Bibbia, per chi si interessa all’argomento) poco altro è stato appurato circa le diverse tipologie.
I coltelli presentati in queste pagine vengono generalmente indicati come “di foggia antica”, e talvolta anche come “arburesi“, pur se Arbus non è sicuramente l’unico centro in cui si fabbricavano in questa forma.
Le caratteristiche che li accomunano sono costituite dalla lama larga e panciuta, dal manico ricurvo guarnito alle due estremità da fascette metalliche rimboccate (cioè con i lembi ripiegati in modo da penetrare all’interno dell’intaglio in cui si alloggia la lama) e dall’assenza della molla.
Quest’ultima caratteristica la elenchiamo per amor di completezza, ma è del tutto ovvia trattandosi di coltelli sardi.
Tra gli esemplari antichi, alcuni dei quali databili intorno alla metà del secolo scorso, ricorre un tipo col manico in legno che oltre alle già citate fascette presenta altre guarniture: bandelle longitudinali dello stesso metallo, il tutto riccamente inciso, o anche inserimenti di filetti ritorti.
Il legno del manico è talvolta ricavato da alberi da frutto, come il ciliegio o il pero, e le bandelle longitudinali sono di norma tre: una per ciascun lato, incassate nel legno, e la terza lungo il dorso.
Il metallo delle guarniture può essere l’ottone, ma si riscontrano anche altre leghe e sugli esemplari più preziosi si può trovare l’argento.
La costante presenza delle incisioni ne dichiara comunque sempre il carattere di coltello importante, adatto a un dono o a una esposizione.
Il ruolo particolare di questi esemplari è sottolineato anche dalle dimensioni, che spesso sono ragguardevoli. Un esemplare con lama a foglia porta incisa da un lato la scritta “Viva l’Italia” e dall’altro quella “Cagliari 1861”.
Si tratta appunto dell’anno in cui fu proclamata l’unità d’Italia, e la scritta sembra voler celebrare questo evento.
Lo stesso anno si tenne però anche l’Esposizione Nazionale di Firenze, che tra i partecipanti annoverava un artigiano di Cagliari, fabbricante di coltelli: Antonio Oliveta.
Non ci sono elementi certi per asserire che questo sia uno dei coltelli presentati a quella esposizione; si può solo ammettere l’esistenza di tale possibilità.
Un esemplare di forma simile, anch’esso con la scritta “Viva l’Italia” sulla lama, si trova raffigurato in un disegno a penna che correda un articolo pubblicato nel 1897 su “L’Illustrazione Italiana” a firma di A.C. Bianchi, dedicato alla raccolta del Museo di Antropologia Criminale di Torino; vi viene identificato come tipo “assai usato dalla massoneria sarda“, ma in tal caso la sua funzione doveva essere eminentemente simbolica, dato che si legge anche che la lama non arriva a sette centimetri di lunghezza.
Il fatto che anche l’altro esemplare con lama a foglia e con la stessa scritta, ma di dimensioni decisamente maggiori, si trovi nello stesso museo (che in realtà raccoglie anche coltelli che col crimine hanno poco o nulla a che fare) potrebbe far sorgere il dubbio che si tratti dello stesso esemplare, ma sembra improbabile che l’autore abbia confuso in maniera così clamorosa un coltellone con un coltellino.
Inoltre nel testo si legge anche “che di questo genere devono esserne stati costruiti moltissimi“.
Esemplari con le stesse caratteristiche generali ma non di esecuzione così ricca hanno invece il manico in corno di montone, senza altre guarniture che le due tipiche fascette rimboccate, per le quali veniva in questo caso usato anche il comune ferro.
Talvolta ne è accertata la provenienza dall’area mineraria in cui si trovano i centri di Guspini, Gonnosfanadiga, Arbus.
É difficile dire se si tratti di un’esecuzione più corrente dello stesso coltello o se invece si dovrebbero considerare come due modelli distinti.
Oggi viene ancora fabbricato questo secondo tipo, col manico ricavato da un solo pezzo di corno di montone, sia dalla famiglia Pusceddu di Arbus che da altri artigiani della zona.
Agli esemplari semplici ed essenziali se ne aggiungono ora alcuni particolarmente curati ed arricchiti da incisioni. Altrove il modello “di foggia antica” viene invece riproposto con caratteristiche diverse, ma sempre con lama panciuta.
Luciano Salvatici