Quello che vi verrà presentato fa parte del progetto di Raquel Fayad “Lettere d’Amore” e, in particolare, il contributo d’Amore dell’artista sansperatina Pietrina Atzori.
Tutto ebbe inizio nel 2014 quando Pietrina decise di realizzare un kimono giapponese.
I kimoni, il cui significato letterale è “cosa da indossare” (quindi “abito”) rappresentano l’indumento tradizionale del Giappone, nonchè costume nazionale. Quello che Pietrina intendeva realizzare era un tipo di kimono usato dagli antichi pescatori del nord del giapponese, chiamato Boro, che tradotto dal giapponese significa “marcio”. I Boro sono composti da una serie di rettangoli di cotone, generalmente di colore blu, cuciti tra di loro e ricamati grossolanamente.
Per realizzarlo, all’artista sansperatina, servivano molti di pezzi di stoffa di cotone di colore blu e filo in abbondanza.
Cosa fare per racimolare tutto il materiale? Semplice!
Iniziò un tam-tam attraverso amici, parenti e persino appelli sui social network.
La voce si sparse talmente rapidamente che, in pochi giorni, iniziarono ad arrivare direttamente a casa di Pietrina i primi pacchi pieni di stoffa.
Mancava il filo, però.
Un giorno, inaspettatamente, arrivò un messaggio su facebook da una ragazza francese. Una certa Isabelle Deledda.
Fu talmente gentile che si offrì di spedire tutto il filo che aveva a disposizione. E Pietrina, felice, accettò ben volentieri.
Tutto finì li, in quel semplice scambio di messaggi.
Pietrina tornò al suo lavoro e dopo tre mesi di ininterrotto lavoro, riuscì a completare il suo kimono, con tanta fatica e passione.
Il kimono fu realizzato in double face con la tecnica Boro che consiste nell’assemblaggio di tanti tessuti, alcuni di questi precedentemente tinti di blu con la tecnica shibori, e infine ricamati con la tecnica sashiko.
I Boro racchiudono i principi etici ed estetici della cultura giapponese come:
- la sobrietà e la modestia (shibu)
- l’imperfezione o aspetto irregolare, incompiuto e semplice (wabi-sabi)
- l’avversità allo spreco (mottainai)
- e l’attenzione alle risorse, al lavoro e agli oggetti di uso quotidiano.
Pietrina non perse tempo a ringraziare tutti coloro che avevano contribuito alla realizzazione della sua nuova opera.
Ringraziare amici e parenti fu facile, vista la vicinanza. Mentre per quella ragazza francese che, con tanta gentilezza, le aveva spedito il filo cercò di sdebitarsi in maniera originale.
Pietrina contattò la giovane Isabelle e le chiese se aveva un breve poesia a cui era particolarmente legata per prepararle, a sorpresa, un pensierino ad hoc: una poesia ricamata in un tessuto a forma di pergamena.
Dopo qualche giorno Isabelle le rispose e le inviò la poesia “Come dimenticare la Sardegna” scritta da suo nonno Sebastiano Deledda, detto Bustianu.
Bustianu era un sardo emigrato in Francia negli anni ’20 del secolo scorso e mai più rientrato in patria.
Quella poesia era tutto tranne che breve!
In un primo momento Pietrina rimase perplessa, sbarrò gli occhi, e scorse la finestra di facebook per visualizzarne la lunghezza.
Poi iniziò a leggerla e lì, in quel preciso momento, Bustianu fece un altro piccolo passo verso il suo rientro in patria.
Una poesia carica di sentimento per una terra che, rabbiosamente, aveva lasciato e che, nostalgicamente e a distanza, aveva amato, desiderato e sognato!
Pietrina si commosse fino alle lacrime, lacrime che si rinnovavano ogni volta che la prendeva in mano per tradurla in ricamo.
A quel punto, in Pietrina, esplose una carica di emozioni dalle varie sfaccettature.
Emozioni che la portarono a contattare immediatamente Isabelle e ad approfondire la storia di questo emigrante sardo.
Un emigrante come tanti altri. Una persona comune.
LA STORIA DI BUSTIANU
Bustianu era nato a Lula, nel cuore della Baronia, alle pendici del Monte Albo.
All’età di 19 anni, sofferente per la mancanza di lavoro, di opportunità, e soprattutto a causa della mancanza di una prospettiva futura, decise di emigrare in Francia.
Prese tutta la sua roba e si imbarcò in una nuova avventura, lontano dalla sua Sardegna.
Nell’arco di poco tempo la vita di Bustianu ebbe una svolta positiva e, tale cambiamento, fece scattare in lui una riconoscenza verso Francia talmente radicata che la manifestò costantemente ed esplicitamente sia con i figli che con i nipoti. La Francia lo accolse, lo nutrì, gli diede lavoro e la possibilità di fare famiglia. In poche parole, lontano dalla sua terra, riuscì a realizzarsi come “uomo” e a trovare appagamento dal suo quotidiano.
Allo stesso tempo smise di parlare della Sardegna, delle sue origini e radici.
Mai più un accenno, un riferimento; mai un’emozione tradì – pubblicamente – la sua espressione, i suoi racconti e/o desideri.
Non parlò mai della Sardegna e non manifestò mai la voglia di farci ritorno. Anche solo per una breve vacanza.
In quell’uomo, il ricordo della sua patria, sembrava cancellato definitivamente.
Il dolore e la rabbia per quella Sardegna in cui era nato e cresciuto, che non gli ha concesso opportunità e che gli aveva spento ogni speranza, sembravano avergli cancellato ogni ricordo e pensiero.
I suoi figli non conobbero mai la Sardegna dalla bocca del padre. Stessa cosa per i suoi nipoti.
Sardegna, una terra veramente dimenticata?
Ebbene si! Tutto sembrava dimenticato e sepolto finchè, dopo la morte di Bustianu nel 1974, i figli non misero mani su un “piccolo grande tesoro”.
Un tesoro di inestimabile valore fatto di lettere, poesie, pensieri e persino disegni che Bustianu realizzava in segreto e dove la sua musa ispiratrice era la sua “amata” patria, la Sardegna.
Un insieme di fogli che mostrarono l’anima più profonda di questo emigrante che tutti ignoravano.
Provate ad immedesimarvi ed immaginare le emozioni dei figli e dei nipoti.
Provate ad immaginare di ignorare l’esistenza di una terra, patria di un vostro caro, e poi scoprirla improvvisamente attraverso dei racconti, poesie e vere e proprie dichiarazioni d’amore.
Vi si apre un mondo davanti in cui la curiosità diventa sempre più forte ed ardente!
Per i figli, ma anche per i nipoti, fu un’esplosione di emozioni.
Si accorsero che Bustianu, nonostante i suoi silenzi, coltivava dentro di sè un amore immenso per la sua terra. Un amore che non si era mai spento, nonostante gli anni e la lontananza.
Erano lettere e poesie di puro amore, per molti versi cariche di nostalgia, di descrizione dei luoghi, della cultura e delle tradizioni della città e terra in cui era nato e cresciuto.
Da quel momento sia i figli che i nipoti iniziarono a divorare qualsiasi informazioni sulla Sardegna, al punto tale da spingerli ad organizzare un viaggio di “scoperta e esplorazione”.
E, al rientro in Francia, in ognuno di loro nacque un amore per questa terra che, tutt’oggi, continuano a custodirlo dentro il loro cuore.
E non solo. Oggi, in quasi ogni angolo delle loro case, c’è un riferimento alla Sardegna.
E’ un modo per sentir vicino una terra lontana.
PROGETTO LETTERE D’AMORE
Quando Raquel chiese a Pietrina di fornirgli un contributo d’amore, l’artista sansperatina dopo qualche giorno, e dopo aver chiesto il permesso ad Isabelle, le presentò la poesia “Come dimenticare la Sardegna” di Bustianu.
Raquel, colpita e travolta anche lei da questa storia, non perse tempo e si mise subito al lavoro!
Fece un breve sunto e la pubblicò, per la prima volta, nel murale di via Santa Prisca (in alto).
L’anima di Bustianu attraverso questo murale, anche se non realizzato nella sua città natale, ha fatto rientro in Sardegna.
E San Sperate è felice di ospitarlo.
CONCLUSIONE
Un ringraziamento particolare a Pietrina Atzori per la sua disponibilità, sensibilità e gentilezza nell’avermi incontrato, per avermi narrato – minuziosamente e con tanta passione – questa storia che difficilmente dimenticherò.
E grazie anche per il materiale messo a disposizione.
A proposito di questo murale c’è una cosa che vorrei dire.
Non sono sardo ma questa terra mi è entrata nell’anima e nel cuore fin dal primo giorno in cui sono arrivato qui.
Era il 10 marzo 2004.
A parte i paesaggi e spiagge meravigliose da cartolina quello che colpisce è l’Anima della Sardegna.
Un’anima fatta dall’ospitalità e generosità della sua popolazione, dall’amore e dal rispetto verso le tradizioni che continuano a tramandarsi da generazione in generazione, dalla semplicità nei rapporti, dalla bontà d’animo della maggior parte della gente. E così via.
Sono cose che non possono essere cancellate o dimenticate! Ti entrano dentro, in profondità, te ne innamori e te ne vorresti nutrire giorno dopo giorno.
“Per sempre, finchè morte non ci separi”.
Diego Magrì