Pepp’Antoni come ogni giorno da quando ne aveva memoria, si alzava all’alba.
Accendeva il fuoco su cui preparare un pò di caffè che sorseggiava affacciato all’uscio del suo ovile, lascito del padre.
Il lavoro non gli pesava più di tanto e guardare le montagne sorseggiando il suo caffè era diventato un rituale per iniziare bene la giornata; che il tempo fosse buono o cattivo poco importava.
Dimoniu, un maremmano enorme, compagno di vita e di lavoro di Pepp’Antoni invece faceva sempre fatica ad uscire dall’ovile, anche se poi il suo lavoro lo svolgeva sempre con estrema solerzia.
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La giornata era mite e la primavera lentamente iniziava lasciare il passo ad una estate che si preannunciava essere molto calda e Pepp’Antoni, avviandosi verso il recinto delle capre ripassava mentalmente i vari punti che avrebbero scandito la sua giornata: mungere, mandare al pascolo le capre, qualche piccolo lavoro sulle arnie, attività che aveva intrapreso da poco tempo ma che gli dava ampie soddisfazioni, e in ultimo scendere in paese per alcune compere e una chiacchierata con i pochi amici rimasti.
La giornata per lui sarebbe andata in modo decisamente diverso.
Svolta l’operazione di mungitura, Pepp’Antoni aprì il recinto per far uscire gli animali che incoraggiati dall’abbaiare del cane si diressero verso la zona di pascolo non distante dall’ovile e terminati alcuni lavori il capraro si decise a salire a controllare le sue bestie percorrendo con calma il sentiero che, prima dolcemente poi sempre più ripido, si arrampicava sul fianco calcareo della montagna.
Subito Dimoniu gli si fece incontro e Pepp’Antoni notò che teneva qualcosa tra i denti. Cercò di vedere cosa fosse ma Dimoniu voleva giocare con il suo amico umano, scuotendo continuamente il suo testone. Alla fine l’uomo vide che si trattava di un grappolo d’uva.
Rimase perplesso, visto che in quella zona e a quella altezza non c’erano vigne, inoltre l’estate era alle porte quindi era impossibile trovare dell’uva bella matura come quella che aveva in mano in quel momento.
Dimoniu abbaiava e girava intorno al suo padrone mostrando così la sua voglia di continuare a giocare e Pepp’antoni, incuriosito da quello strano ritrovamento chiese a Dimoniu: “Innui dd’as pigada? Bai pigandi attra! (dove l’hai presa? Vai prendine altra)” indicando con il braccio un ipotetico luogo davanti a lui.
Il cane non si fece pregare scattando davanti al padrone diretto verso una parete di roccia distante qualche centinaio di metri.
Il maremmano si infilò sotto alcuni arbusti che Pepp’Antoni fece fatica ad aggirare per poi ritrovarsi davanti alla parete calcarea. Rimase sbalordito perchè nella roccia si apriva l’ingresso di una grotta che lui non aveva mai visto nonostante conoscesse ogni pietra ed ogni albero di quella zona. Il cane abbaiò dall’interno della cavità e l’uomo entrò lasciando che gli occhi si abituassero all’oscurità.
L’andamento della grotta risultò essere orizzontale e Pepp’Antoni riuscì a percorrerne un buon tratto seguendo l’abbaiare di Dimoniu e tenendo la mano sulla parete rocciosa alla sua sinistra, procededo a tentoni per la paura di qualche buco in cui potesse cadere all’improvviso. Pian piano iniziò a distinguere il pavimento della galleria grazie alla luce che iniziava a filtrare sempre più forte.
Con immenso stupore uscì all’aperto trovandosi davanti ad una grande vallata in cui parecchie persone si trovavano affaccendate in una vigna che si estendeva a perdita d’occhio. Il suo cane gli corse incontro festoso e Pepp’Antoni, dopo lo smarrimento iniziale si avviò verso gli uomini e le donne che lavoravano alacremente, cantando e ridendo tra loro.
Un uomo lo notò e posate a terra “is ferrus de pudai” che stava usando, gli si avvicinò.
Pepp’Antoni gli chiese: “E itta cosa seis binnennendi? No est tempu ancora (Come mai state vendemmiando? non è ancora tempo)” .
L’uomo gli sorrise e gli rispose: “ah happu cumprendiu, tui ses de s’attru mundu! ( ah ho capito, tu sei dell’altro mondo)”.
Si avviò nuovamente verso i filari della vigna facendo cenno al capraro di seguirlo.
Quest’ultimo sempre più meravigliato avvicinatosi alla vigna vide l’uva bella matura.
Una donna si accostò e gli porse un bel grappolo, con gli acini grandi e succosi e Pepp’antoni la mangiò con gusto. Altre persone si accostarono ed iniziarono a parlare con il nuovo arrivato che ebbe modo di presentarsi a tanta gente che si dimostrò essere estremamente gentile nei suoi confronti, chiedendogli di fermarsi a pranzare con loro. Pepp’Aantoni non aveva modo di passare spesso del tempo in compagnia di altre persone e fu loro grato per la giornata al punto di dimenticarsi delle altre faccende da sbrigare all’ovile e delle sue capre.
Il tempo passò veloce ed il sole cominciava a calare e Pepp’Antoni a malincuore dovette salutare i nuovi amici che gli regalarono un cesto colmo d’uva.
Si avviò così verso il passaggio nella roccia, seguito da Dimoniu, stanco per aver corso forsennatamente giocando con alcuni dei bambini presenti nella vigna.
Uscendo dalla grotta Pepp’antoni rimase interdetto; dei colori del tramonto non c’era più traccia e incredibilmente era ancora giorno ma faceva freddo e pioveva. Dimoniu si avvicinò uggiolando alle gambe del padrone ed insieme si avviarono in direzione dell’ovile. Il folto cespuglio che nascondeva la cavità non c’era più e delle capre neanche l’ombra e il cesto colmo d’uva matura ora conteneva solo frutti marci.
Pepp’Antoni spaventato lo scaraventò via iniziando a correre verso l’ovile con il cuore che pompava nel petto e con Dimoniu che guaiva continuamente al suo fianco.
La vista di ciò che gli si presentò davanti gli fece cedere le gambee finire in ginocchio.
La costruzione che in anni di lavoro era riuscito a tenere in buono stato era distrutta con il recinto per le capre bruciato. Rialzatosi a passi pesanti raggiunse il rudere che era stata la sua casa, raccogliendo ogni tanto qualche attrezzo che utilizzava per lavoro. Scosse la testa quando realizzò che tutti questi attrezzi e gli oggetti che trovava erano in avanzato stato di deterioramento, come se non fossero stati usati da decenni.
Si ritrovò di colpo ad aver perso tutto e si sedette per terra a piangere, con Dimoniu che gli si avvicinò continuando a uggiolare e dandogli colpi di muso sulla testa.
Gli ci vollero diversi minuti per riprendersi un minimo e decidere di scendere in paese in cerca di aiuto. La distanza da coprire richiedeva alcune ore di cammino ed iniziava a far buio quando il capraro si fermò di botto lungo il sentiero. “No si binti luscis. ( Non si vedono luci)” pensò, eppure il paese era vicino.
Accelerò il passo sino a giungere alle prime case e il cuore gli si gelò nel petto man mano che avanzava lungo gli acciottolati che lo avevano visto giocare con gli amici nella sua infanzia. Tutto era in un terribile stato di decadenza con le erbacce diventate padrone incontrastate lungo le viuzze, alberi i cui rami si facevano strada attraverso i muri di case oramai in rovina.
Pepp’Antoni non riusciva a capacitarsi di ciò che vedevano i suoi occhi e stava iniziando a convincersi di essere protagonista di un bruttissimo incubo mentre avanzava tra i ruderi come un fantasma. Il ringhiare di Dimoniu lo riportò alla realtà e girandosi vide il cane fermo sulle zampe che guardava davanti a lui ringhiando cupamente e mostrando i denti. Pepp’Antoni seguì lo sguardo del suo fido compagno e vide più avanti lungo la strada, la luce di una lanterna ed una figura seduta sull’uscio di una casa.
L’uomo si incamminò verso la luce chiedendo aiuto e man mano che si avvicinava alla figura vide che si trattava di una vecchina che lo guardava sorridente.
“Ma itta est sutzediu innoi. Esti tottu sderruttu… no ci cumprendu prus nudda. Aiundi funti tottus. (Ma cosa è successo qui, è tutto distrutto.. non ci capisco nulla. Dove sono tutti)”. disse l’uomo prendendosi la testa tra le mani.
La vecchina lo guardò, alzandosi faticosamente e prendendo la lanterna.
“Fiada ora. Ddu scisi de cantu ti seu abetendì Pepp’Antoni? Funti passaus prus de cent’annus e no mindi podemu andai fintzas a candu su trabballu cosa mia no fiada spacciau. Tocca immoi podeus andai chi mancasta scetti tui a s’appellu. (Era ora. Lo sai da quanto tempo ti sto aspettando Pepp’Antoni? Sono passati più di cent’anni e non me ne potevo andare fino a quando il mio lavoro non era finito. Dai, adesso possiamo andare che mancavi solo tu all’appello)”.
Si narra che nel paese in rovina, ormai meta solo per fotografi della domenica in cerca di scorci originali, qualcuno intraveda un enorme maremmano che corre per le antiche viuzze, forse in cerca del suo padrone.
Alessio Scalas
Grazie a Virginia Soi e Isabella Murtas per l’ottimo spunto.