Massimo Rassu non ha necessità di grandi presentazioni è sicuramente uno dei nomi più noti e quotati del panorama Sardo in materia di studio e divulgazione dell’urbanistica storica Sarda.
In questi ultimi anni ha pubblicato un buon numero di articoli ed una ventina di libri tra i quali, a titolo d’esempio, ricordiamo testi fra i quali: Guida alle torri e forti costieri (della Sardegna) – Artigianarte, Cagliari 2000, Baluardi di pietra. Storia delle fortificazioni di Cagliari – Aipsa, Cagliari 2003; La Simbologia del Tempio – Grafica del Parteolla, Dolianova 2003 e molti altri. A partire da oggi avremo il piacere di riproporre sulle pagine di Contusu alcuni dei sui più interessanti articoli, rompiamo il ghiccio con un interessante articolo con i quale vengono proposte alcune singolari analogie strutturali tra la Sardegna e la Bulgaria del periodo del Bronzo.
Buona lettura.
I pozzi sacri in Sardegna e in Bulgaria,dopo tremila anni un collegamento da spiegare
di MASSIMO RASSU,
Il passaggio dall’Età del Bronzo all’Età del Ferro coincise – in Sardegna e in altre parti del Mediterraneo – con una rivoluzione culturale nel campo dell’architettura come della cultura materiale. Il periodo di transizione, noto come Età del Bronzo Finale, vide la cessazione della costruzione di nuraghi, molti dei quali, peraltro, furono distrutti o incendiati, e l’arrivo, o almeno l’inizio della formazione, di nuove tipologie costruttive. Nel X o nel IX secolo a.C. dovette essere individuata, se non proprio determinata, la fisionomia dei luoghi di culto: tra questi i cosiddetti “pozzi sacri” o “templi a pozzo” (Lilliu 1982).
I pozzi sacri – non numerosi come i nuraghi – sono costruzioni sotterranee, con la camera interna circolare costruita con volta aggettante. Contrariamente all’opinione comune, essi non furono nuragici e, soprattutto, non furono una specificità tutta sarda. La tipologia di fonte, o pozzo, o cisterna, seminterrati o sotterranei con copertura a cupola, e a cui si accede tramite una scala, era diffusa in tutto il bacino del Mediterraneo.
Si è spesso dibattuto se queste architetture sarde avessero ricevuto influssi da quelle micenee con copertura a cupola, in contrasto con la tipologia delle abitazioni ed il loro raggrupparsi in nuclei urbani che si riscontra già in alcune tombe di Creta. Nell’Egeo esistono almeno trenta esempi di cupola il cui diametro interno varia tra i 3,50 e i 5,50 metri, ossia aventi dimensioni simili a quelle dei pozzi sacri sardi. Alcuni di questi esempi sono le fontane e cisterne di forma rotonda di Mirtos-Pyrgos, di Zakros, di Archanes, di Tilisso e di Karphi, tutte databili al 1415-1100 a.C., e comunque anteriori alle strutture sarde.
Interessanti analogie formali e tecnico-strutturali con le cosiddette “fontane” micenee si possono individuare anche dal confronto fra il mondo egeo-miceneo e quello ittita-anatolico. Una singolare fontana sotterranea è stata identificata a Aghia Irini, a Kea. La fonte Perseia di Micene è la più famosa del genere; altri esempi simili sono a Tirinto, Atene, e Corinto, tutti datati al 1340-1100 a.C. (Belli 1992).
Il pozzo di Burana, nelle Cicladi, è ugualmente del tipo sardo: il corridoio è orizzontale, ma la cupola è analoga, ossia ogivale aggettante, con apertura superiore (Djonova 1992, p. 592). L’affinità delle strutture sarde con la fonte Perseia di Micene è marcata dalla lunga scalinata (99 gradini) con copertura parabolica aggettante, molto simile a quella dei pozzi sacri “a toppa di chiave” (Belli 1992).
L’esempio più simile ai pozzi sardi, per dimensioni e morfologia, va però cercato in Bulgaria, a circa 200 km a nord dalle coste della Tracia, nei pressi del minuscolo abitato di Gârlo, frazione di Breznik. Questo monumento bulgaro corrisponde in particolare, nella struttura e nella forma, alla Funtana Coberta di Ballao. La scoperta del sito (nel 1981), lo scavo archeologico e gli studi sul pozzo di Gârlo si devono alla professoressa Dimitrina Djonova, che nel 1983 poté recarsi in Sardegna per visitare i pozzi sacri di Ballao e di Santa Cristina di Paulilatino.
In quella visita riscontrò diverse analogie architettoniche e le presentò nella monografia in lingua tedesca Megalithischer Brunnentempel protosardinischen Typs vom Dorf Gârlo, bez. Pernik (Djonova 1983). Un suo intervento fece clamore nel 1987 in occasione del terzo convegno internazionale di Selargius (Djonova 1992), al quale però la studiosa non poté partecipare di persona poiché il regime comunista le aveva negato il passaporto.
Per raggiungere Gârlo da Sofia si deve prima arrivare a Pernik, circa 26 km a sud-ovest della capitale bulgara, e da qui alla cittadina mineraria di Breznik, per poi prendere una strada secondaria da cui si dirama una carrareccia in terra battuta. L’abitato di Gârlo è composto da diverse case rurali sparse all’interno di una piccola insenatura boscosa, vagamente somigliante agli insediamenti fondati dal vecchio ETFAS nell’area di Laconi o di Castiadas.
In agosto, a parte le aree montuose ricche di boschi attorno alla capitale, il panorama delle campagne dell’interno della Bulgaria ricorda quello della Sardegna: spoglie colline ondulate ed erba secca. Le temperature estive invece sono molto più favorevoli. Il caldo è secco e asciutto: nelle ore centrali della giornata si raggiungono i 30-32 gradi all’ombra ma senza un filo di umidità.
Il sito archeologico è situato sul fianco settentrionale di un rilievo boscoso molto erto, alla cui base una diga racchiude un piccolo lago artificiale per la raccolta dell’acqua per irrigazione. Per evitare scavi clandestini, le autorità bulgare, dopo aver restaurato il pozzo di Gârlo, costruirono una baita in pietra e legno attorno e sopra le sue rovine, e vi alloggiarono un custode. Dopo la caduta del regime ed il conseguente crollo dell’economia, agli inizi degli anni ’90 la casupola fu abbandonata e tuttora giace in sfacelo.
Collocato con l’asse longitudinale parallelo alle isoipse dell’altura, il monumento si trova in parte incassato nel terreno e in parte sopraelevato. Tutt’intorno alla camera centrale è una muratura in pietra a forma di anello della larghezza di m 6,50-7,00, mentre ad una certa altezza, ad est, si riconoscono le fondamenta del corridoio: il “pozzo” è quindi una struttura dalle pareti molto spesse, con la caratteristica forma “a toppa di chiave”. In una soluzione planimetrica e costruttiva di questo genere, l’effettivo spazio interno si riduce ad una parte ridotta dell’intera volumetria.
Il complesso è costituito da una scala di accesso terminante in una cupola, di copertura ad una cella rotonda, con al centro un pozzo profondo. L’ingresso si compone di un corridoio lungo 7 metri, orientato verso est, che scende verso la camera centrale con 13 gradini in pietra, superando un dislivello negativo di circa m. 2,60. Su ciascuna parete c’è una piccola nicchia.
Il condotto ha conformazione ogivale tronca: le pareti laterali sono via via aggettanti, ma interrotte da un solaio a gradinata, realizzato mediante grandi ortostati di m 0,30 x 0,70, allineati e in ordine discendente. Scendendo si raggiunge la quota di base della cupola: si riconosce il paramento originario per un’altezza di m 2,34 e un diametro di m 4,15. La cupola attualmente non è completa, presentando un’ampia apertura cilindrica, di restauro (la parte mancata era crollata già prima della scoperta del complesso).
All’interno della camera si schiude la canna del pozzo, profonda m 5,50, e con un diametro di m 1,33. Il livello dell’acqua all’epoca dello scavo era di m 1,20; oggi è ostruita con materiale di crollo, in seguito a recenti scavi clandestini alla ricerca di fantomatici tesori (anche lì, come in Sardegna!).
La forma allungata e irregolare del corridoio è dovuta alla necessità di creare davanti all’ingresso della cupola, vicino alle nicchie delle pareti, un piccolo ripostiglio rettangolare, forse utilizzato come deposito dei doni votivi. La differenza di altezza delle pareti del corridoio è ugualmente voluta, affinché il raccordo fra la tholos e le pareti della scala assumesse la particolarissima forma ogivale.
Le pareti della canna del pozzo sono costruite con pietre di medio formato, mentre per la vera che ne circonda la sommità sono state utilizzate grosse pietre. L’ultimo filare dell’anello, quello che in effetti costituisce anche il piano pavimentale della cupola, è ottenuto mediante lastre di pietra – simili alle sarde “tellas” o “perdas ladas” – disposte radialmente intorno alla bocca del pozzo; esse disegnano una sagoma circolare alquanto regolare.
Tra i reperti di cultura materiale rinvenuti durante gli scavi archeologici si segnalano: nel fondo del pozzo un frammento di ascia in pietra, rami e pezzi di quercia; nella cupola di fronte all’ingresso e vicino al lato meridionale del corridoio, resti ossei di offerte sacrificali, tra cui ossa di bovini (estremità, corna e teschio), di tre esemplari di cane, di gatto selvatico e domestico, di un tipo particolare di bue, di volpe, coniglio e tartaruga. Dinanzi al corridoio, nella terra, fu scoperto un frammento di vaso in terracotta del periodo 1400-1200 a.C. (Djonova 1992, p. 591).
Il complesso di Gârlo è una struttura articolata e di difficile realizzazione. Secondo la professoressa Djonova, da un punto di vista architettonico paralleli col sito bulgaro potranno trovarsi con la coeva fonte Perseia di Micene, e nelle cisterne sotterranee della Palestina, che hanno però una funzione meramente pratica. Come struttura cultuale rimane estranea al contesto architettonico dell’epoca per tutta l’area. Riscopre, invece, varie analogie con la citata Funtana Coberta di Ballao, in Sardegna, e nel cosidetto asclepion di Chersoneso, in Crimea (Djonova 1992, p. 590).
I tre siti – appartenenti a contesti culturali così lontani l’uno dall’altro senza alcuna relazione diretta apparente – denunciano affinità sconcertanti, persino nelle dimensioni, discordanti solo di qualche centimetro. Si compongono di un ingresso seminterrato, un corridoio con scala in pietra discendente, verso una cella cupolata con un pozzo profondo nel mezzo e apertura sovrastante. Sorprende la somiglianza tra il tempio di Gârlo e quello di Ballao: il numero dei gradini, le proporzioni della cupola e le profondità del pozzo sono quasi identici. Questa similitudine può interpretarsi soltanto sulla base di un culto comune, quello delle sorgenti sotterranee.
Tali riti sono confermati anche dall’impianto architettonico, che evidenzia strette analogie sia con i pozzi sacri protosardi, sia con l’asclepion di Chersoneso, sede del santuario di un dio guaritore tramite l’acqua della fonte (Djonova 1992, p. 592). Si può perciò ben affermare che un culto simile fu attestato in tre diversi periodi, tra il XIV e il IV sec. a.C., in tre aree geografiche che forse non ebbero mai contatti reciproci (Djonova 1992, p. 593). Forse…
In realtà qualche tenue legame culturale tra la Bulgaria e la Sardegna esiste, ad iniziare dal nome stesso dell’Isola occidentale che ricorda quello antico della capitale bulgara, in tempi remoti detta Sardica. Forse connessa all’intera questione è anche la pantomima dei Mamuthones, o dei Merdules, o dei Thurpos, tipici delle montagne dell’interno della Sardegna, che presenta analogie con le maschere tradizionali di alcune regioni mediterranee legate ai Popoli del Mare e ai micenei, quali l’isola di Skyros, ma soprattutto la Bulgaria, nell’area di Pernik (Todorova Calia e Rassu 2000). Ma si rimane sostanzialmente nel campo delle ipotesi.
Allo stato attuale, il pozzo di Gârlo costituisce un’anomalia nel panorama archeologico dell’area. La civiltà pre-ellenica e pre-romana per eccellenza di tutta la regione fu, infatti, quella dei Traci, che ha lasciato notevoli resti: le sue notevoli diversità portano ad isolare il pozzo di Gârlo dal settore dell’architettura megalitica della Tracia e della parte orientale della Penisola Balcanica e dell’intera Europa del Nord-Est (Djonova 1992, p. 588).
Proprio per la sua unicità regionale, il sito è pressoché sconosciuto agli stessi bulgari. In un programma televisivo bulgaro di divulgazione – equivalente a quelli italiani “Stargate” o “Voyager” – nel maggio 2003 il pozzo di Gârlo fu presentato come opera nientemeno che di extraterrestri. Secondo altri “esperti” locali, invece, andrebbe classificato come un esempio di architettura dei Traci, anche se – come spiegava la Djonova – nessuno è riuscito a fornire prove convincenti al riguardo.
La notizia dell’esistenza di questo monumento ha spiazzato gli archeologi sardi al punto che, o non fanno alcun cenno della sua esistenza nei loro scritti, oppure, nel caso opposto, ne parlano senza proporre alcuna conclusione, a puro scopo di inventario bibliografico. Qual è il vero paradosso? Un pozzo sacro bulgaro in Sardegna o un pozzo sardo in Bulgaria?
Massimo Rassu
BIBLIOGRAFIA
Belli P. 1992, Aegean architectural links with the Central Mediterranean: Sardinian Sacred Wells and the Lipari’s thermal tholos, in “Sardinia in the Mediterranean. A footprint in the Sea, Studies in honour of M.S. Balmuth”, Sheffield, pp. 235-247.
Djonova D.M. 1981, Ein megalithischer Brunnentempel aus Sudwestthrazien. Actes du 8 Congres Internazionale de Thracologie, Sofia 1981, 5fL61.
Djonova D.M. 1983, Megalithischer Brunnentempel protosardinischen Typs vom Dorf Gârlo, bez. Pernik, Sofia.
Djonova D.M. 1992, Elementi architettonici proto sardi nella penisola balcanica, in Atti del III Convegno di studi “Un millennio di relazioni fra la Sardegna e i Paesi del Mediterraneo”, Selargius 1987, Cagliari, pp. 587-596.
Lilliu G. 1982, La civiltà nuragica, Sassari.
Todorova Calia P. – M. Rassu 2000, I mamuthones bulgari, in “Sardegna Magazine New”, luglio-agosto 2000, Cagliari, p. 24.