Nelle non molto estese comunità agro-pastorali, la Morte era in primo luogo una presenza naturale, un fatto “che modificava lo spazio e il tempo di un gruppo sociale e che interessava l’intera collettività”.
I riti che seguivano la morte di un individuo coinvolgevano infatti tutti necessariamente (prima con la sistemazione degli oggetti religiosi nella stanza del defunto, poi con i rintocchi funebri della campana nella chiesa parrocchiale, con le ultime visite dei parenti e degli amici, la partecipazione al lungo corteo dall’abitazione fino al cimitero).
Con l’uso di tenere il lutto la vita riprendeva normalmente solo dopo qualche mese, quando le visite al cimitero si diradavano gradualmente. Certamente la funzione originaria e l’esigenza fondamentale che stavano alla base di questi “riti collettivi” era quella di esorcizzare la Morte stessa, da parte della comunità che ne era stata colpita: la Morte prendeva con sè un individuo, ma feriva la collettività che doveva progressivamente cicatrizzare la piaga inferta.
La Morte era però anche un evento atteso con paura e rassegnazione: e soprattutto era temuto il suo giungere improvviso.
Considerato che era molto nota alla comunità la caratteristica degli animali di percepire molto prima dell’uomo il verificarsi di molti eventi naturali, l’elaborazione culturale pervenne a “codificare” una serie di “segni premonitori”, che si pensava annunciassero la scomparsa di qualche membro della comunità stessa.
In primo luogo gli uccelli, e soprattutto quelli notturni (era naturale che l’immagine della Morte si sovrapponesse con quella della Notte), la civetta, s’istria, il gufo, su cuccumiau, il passero solitario, sa solitaria, erano ritenuti nunzi di Morte qualora si posassero sul tetto di casa, o verso la casa rivolgessero il loro verso.
Comunque, presagivano la Morte di qualche abitante della zona ove il loro canto si diffondeva. Erano infatti animali ritenuti in grado di “sentire l’odore della Morte” (leare su fragu ‘e sa morte).
Anche il cane, considerato da tutti “l’avviso dell’anima“, sa tzitta ‘e s’anima, perchè vedeva e comunicava con i suoi ululati la presenza di morti fra i vivi, aveva la capacità di presentire la Morte, in quanto sos mortos chi ziran sun sinnale ‘e morte, “i morti che vagano sono segno di Morte“.
Al presagio dato dalla gallina era invece possibile rimediare: sa pudda chi cantat cheret pesada (la gallina che canta deve essere rimossa) per evitare eventuali disgrazie.
Se dopo uno strepito notturno nel pollaio si rinveniva la mattina una gallina morta, si riteneva allora che la Morte fosse passata nottetempo ma avesse preferito colpire un animale anzichè un uomo.
Altri presagi erano costituiti dal gallo che cantava prima di mezzanotte, o il passaggio di una cometa.
Un alone rossastro intorno alla Luna, invece, lasciava presagire uno spargimento di sangue, e allora si diceva: sa luna jughet corte o est abba o est morte (la luna ha un cerchio intorno, o è pioggia o è Morte). Anche lo scorgere una stella in vicinanza della Luna faceva presagire la morte violenta di un individuo della comunità, richiamando l’immagine della pallottola. Invece, si credeva che l’olio sparso a terra per la rottura di un recipiente dovesse poi essere utilizzato per preparare una lampada funeraria.
Estremamente ricco e interessante è l’aspetto onirico dell’argomento, in quanto innumerevoli erano gli avvertimenti di Morte che si potevano trarre dai sogni.
Erano da prendere in considerazione però i soli sogni fatti dopo la mezzanotte, ca su sambene est posadu, perchè il Sangue è calmo.
Infatti, i morti in sogno dovevano essere temuti se ripetevano per due volte fulanu est mortu (tizio è morto), se baciavano o mandavano a qualcuno i saluti, se convincevano il sognatore a seguirli o vincevano nella lotta con persone vive; era presagio anche accettare un regalo in sogno da parenti, amici o conoscenti non defunti; oppure la visione del ballo dei morti, che indicava l’invito ad unirsi alla compagnia danzante; ancora, sognare qualcuno morto da poco che passeggia per strada era convincimento che la Morte avrebbe colpito presto in quel vicinato; sognare una vedova non in lutto o in procinto di sposarsi di nuovo presagiva la prossima vedovanza di una donna sposata della comunità.
D’altra parte, l’incontro con persone già morte non avveniva solo in sogno. BOTTIGLIONI cita le numerose pratiche scaramantiche diffuse in Gallura volte a evitare l’incontro con li vuglietti (le anime dei morti incarnate in qualche animale), con gli ànimi bulattighi (i bimbi morti senza battesimo), con le panas (le donne morte di parto), con la reula (la processione dei morti) e lu traicòggiu (uno spirito di defunto che trascina con sè una catena e una pelle, seguito da una schiera che intona salmi funebri).
Nel Logudoro e nel Campidano era temuto dai pastori l’incontro con il carro dei morti, carr’e sos mortos o carru gòcciu, che cammina senza che alcuno lo tiri, e si trasforma poi in un gran fuoco attorno al quale gli spiritelli si mettono a danzare come in una sorta di sabba infernale.
Sa regula, corteo dei morti, era temuta in Goceano, dove si credeva che chi avesse visto anche solo il lume delle loro candele o ne avesse udito il salmodiare sarebbe morto se non si fosse spostato per evitare di essere travolto. E anzi si narra che molti furono salvati da parenti o amici defunti che, usciti dal corteo, li avevano allontanati per evitarne la morte.
Quindi, il ritorno delle anime dei morti provocava grande paura, come un pericolo sempre incombente sulla comunità dei vivi. Secondo SATTA, anzi, proprio queste leggende erano il tentativo del gruppo sociale di controllare il fenomeno della Morte, che spaventava ed era d’altro canto inevitabile.