Il gruppo di Salomone semplice, o meglio il gruppo semplice di Salomone, ha questa forma.
Se su qualche enfiagione (gonfiore) del corpo umano, come, per esempio, sul gonfiore prodotto dal mal di denti, si fa il gruppo di Salomone mediante un carbone o altra materia che aderisca alla pelle, si ritiene sicura la guarigione.
Una vecchierella goriziana, oltre al l’essere superstiziosa, in sommo grado, tenendo per vangelo tutto ciò che appartiene al regno delle favole, era altresì ritenuta dal vicinato per una valente empirica.
Una povera donna, avendo un figliuoletto con un tumore cistico sul capo, ricorse alla vecchia per liberarlo da quella bruttura. Ecco il recipe che le diede l’empirica con un certo mistero d’arte maliarda: “Andate per una via deserta, o poco frequentata, fino a che troviate un osso; meglio per voi e per il fanciullo, se l’osso è d’un ebreo.
Pigliatelo su e con esso segnate sulla natia il gruppo di Salo
mone… e poi… gnente fu e gnente sia, gettate l’osso dietro le
vostre spalle, e ritornate a casa vostra.”
Domandata perchè fosse meglio un osso d’israelita, rispose che Salomone era ebreo.
Tra le Credenze e superstizioni delle quali è cenno nella Rivista delie tradizioni popolari italiane, trovo il
gruppo o nodo di Salomone e il paternoster verde di Jack la Bolina.
Codesta pratica di magia o scongiuro marinaresco, com’egli dice, mi ha richiamato in mente una credenza analoga della Calabria.
Ricordo che, fanciullo, ammalai di parotide, volgarmente orecchione. Chiamato il medico, egli ricorse ai soliti empiastri ; senonchè la sapienza di Esculapio non valse a vincere la infiammazione e la gonfiezza della glandola ;
sicché portai, per una settimana, un orecchio spropositato ; la mia buona mamma ci gonfiava – proprio come l’orecchio – e volendo tagliar corto, ad insaputa del dottore, fece venire in casa una vecchietta, certa zia Rosa, già nostra fante, esperta in ogni sorta d’innocenti stregonerie, perchè volesse fare il segno di Salomone sulla parte ammalata; segno che aveva la virtù di guarire da quella specie di malanno.
E, infatti, guarii. Giova notare che co desta figura corrispondente su per giù a quella data da Jack, bisognava farla con una penna d’oca – a quei tempi non usavano ancora le penne di acciaio – intinta nell’inchiostro nero, e con un tratto solo, senza interruzione, altri menti il rimedio non avrebbe avuto efficacia.
Zia Rosa, alla quale, vecchia come era, tremava la mano, ci si provò, ma venne fuori uno scarabocchio che non ci si capiva niente, e dovette cancellarlo, s’ intende bene colla saliva;
ritentò, e infine la prova riuscì. Intanto, nel tracciale lo strano ghirigoro, la nostra magara (megera) masticava fra i denti, che non aveva più, una giaculatoria, la quale potrebb’essere benissimo un quissimile del paternoster verde citato da Jack.
E appunto come Jack, poiché zia Rosa vive ancora – forse centenaria – ho scritto a Cosenza perchè s’interrogasse.
S’ indovini la risposta che zia Rosa diede a un mio nipote. Gli disse che non se ne rammentava più!
Tal quale come il vecchio marinaio. È una reticenza o un cortese rifiuto domando anch’io, e anche io ho ragione di credere che sia la prima cosa.
Giacché interpellata da me più volte, quando era a Cosenza sopra questa ed altre preghiere nere (quella v. g. che accompagna lo scongiuro pel malocchio), non volle mai dir nulla, e, sorridendo, si schermiva.