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Il libro del comando. Come tutto ebbe inizio

il libro del comando

Abbiamo l’onore ed il piacere di pubblicare, con l’autorizzazione dell’autore, una serie di racconti tratti dal suo ultimo lavoro “[amazon_textlink asin=’8892663054′ text=’Sardegna paranormale’ template=’ProductLink’ store=’testo_art-21′ marketplace=’IT’ link_id=’9a2ae06a-6cae-11e7-bfa6-2fd99ea3b477′]“. Grazie all’amico Pasquale Demurtas.

Potete leggerla cliccando qui “Le pagine cucite con il filo“.

C’eravamo lasciati così, con questo mistero ancora irrisolto.
A distanza di due anni, alcune ricerche e testimonianze hanno aiutato a far maggiore luce sul misterioso libro che le due sorelle trovarono in quella casa.

Molti di voi sapranno inoltre che in tempi passati i rituali di magia e di evocazione degli spiriti erano cerimoniali praticati con una certa regolarità. Nei paesi esisteva una figura alla quale erano attribuiti poteri taumaturgici: guarigioni miracolose, legami d’amore, maledizioni, medicine dell’occhio e via discorrendo.
Cosa si nasconde dietro questi poteri? Cosa c’è all’origine di queste pratiche?

Non tutti ne sono stati in possesso, non tutti l’hanno visto, molti ne hanno solamente sentito parlare, ma si può confermare che alla base di tutto ci sia uno scritto molto particolare, il libro del comando.
Si tratta di un testo di magia nera contenente istruzioni su pratiche che permetterebbero di tessere dialoghi con l’aldilà, con gli spiriti maligni e le creature ultraterrene.

Questi rituali e formule misteriose sono utilizzati per sollecitare l’intervento di un’entità al fine di ottenere un aiuto. Anche quando viene adoperata a fin di bene, ad esempio per operare guarigioni da terribili malattie o per ottenere benefici spirituali, l’ispirazione malefica non va a sparire dal rituale.

Alcuni sostengono che vi sia una distinzione tra magia nera e bianca, ma in realtà, sin dall’origine è in antitesi al bene, sempre.

Molti attribuiscono la stesura del libro del comando a Enrico Cornelio Agrippa di Nettesheim, alchimista e astrologo tedesco. A questa teoria storica si affianca quella che vede nel fautore dell’opera il demonio in persona.
Non si può sapere quale sia la verità, ma è certo che, da sempre, la Chiesa cercò di prenderne possesso, con l’intento di farlo sparire e far così dimenticare i rituali praticati nei borghi e nei villaggi.

Con i suoi formulari e rituali su come arrecare la morte, seminare odio, far seccare le piante, distruggere i raccolti e annientare la serenità in un’abitazione, non ci sono dubbi sul fatto che sia il più temuto e potente scritto di magia di cui si sia conosciuta l’esistenza.

Oggi vi sono diversi testi che si rifanno al “Grande Rituale”, ma non sono paragonabili all’originale.
L’ultima copia è stata ritrovata a Ploaghe, piccolo paese in provincia di Sassari, in Sardegna.
Questa, è stata rinvenuta presso l’abitazione di un noto personaggio che si occupava di magia e guarigioni. 
Ricostruiremo la storia più recente di questo arcano manoscritto grazie alle testimonianze di coloro che hanno avuto contatti diretti con esso o ne hanno semplicemente sentito parlare, tramandandoci quanto si va riportando.

All’inizio del novecento, in una data che non è possibile precisare, due uomini del paese di Ploaghe facevano rientro a bordo di un calesse dopo una giornata di lavoro.
Sostarono per qualche minuto in prossimità della Basilica di Saccargia per sistemare il carico sporgente che rischiava di cadere durante il tragitto.
Uno di questi, chinando il capo, notò tra il muretto in pietra e il terreno, una sorta di buca dalla quale fuoriusciva del fumo nero dal nauseabondo odore di zolfo.

Attratto e incuriosito si avvicinò, si genuflesse e notò un qualcosa di strano, di inusuale.
Vide un libro dalla copertina di pelle nera che sprigionava vapore acqueo, come se trasudasse.
Incuriosito, allungò la mano, prese il libro e lo nascose con cura all’interno della giacca, tenendolo stretto tra il gomito e il petto.
Senza dir nulla al suo compagno di viaggio, salì sul calesse.

L’episodio lo scosse profondamente, al punto che decise, una volta rientrato a casa, di nasconderlo in soffitta dove
sovente conservava arnesi inutilizzati e altro materiale vario.
Passarono gli anni e l’uomo morì.

Una mattina piovosa, il figlio che all’epoca aveva all’incirca vent’anni, sentì venire dall’alto un odore nauseabondo di sterco, misto a zolfo e cenere.
Prese una scala di legno, salì sul soppalco e si mise a cercare quel qualcosa che emanava lo sgraditissimo odore.
Scorse in un angolo un libro con la copertina in pelle nera, impolverato e bagnato, come se fosse stato gettato in acqua.

Incuriosito, lo aprì.
Venne a conoscenza di una molteplicità di segreti, di misteri riguardanti il bene e il male, un mondo ultraterreno
fatto di forze oscure che potevano mettersi in contatto con l’umanità attraverso rituali e formule che facevano gelare il sangue alla sola lettura.

Quel giovanotto era di buon cuore e ne fece sempre un uso corretto, ma non sappiamo quale sia stato il prezzo da pagare e mai lo scopriremo.
Sappiamo per certo che si trattava di un libro di magia che donava la possibilità di esaudire desideri e compiere malefici.
Scritto dal diavolo in persona o da chi per lui, l’esito non era poi così diverso.
Le sue pagine contenevano un vero e proprio Osanna alle forze del male.

Letti con consapevolezza o meno, questi riti e pratiche finivano per allontanare l’uomo da Dio, sia che venissero utilizzati per fare degli scherzi, come notti di inoperosità sotto le lenzuola, il recare spavento a persone che si erano comportate male, il far fermare i cavalli durante il tragitto, il far ammalare animali, infusi d’amore, sia che venissero
utilizzati per fatture ancor più gravi come l’invocare la morte, la disgrazia, l’infelicità.

Il libro sopravvisse a tutti coloro i quali lo avevano utilizzato nel corso dei secoli, in ogni angolo del mondo.
Attorno agli anni ’80 del ‘900 -anche questa data è impossibile da precisare, furono eseguiti dei lavori di restauro presso l’abitazione in cui il ragazzo aveva, a suo tempo, rinvenuto il manoscritto.

I testimoni oculari ci raccontano quegli attimi relativi alla scoperta e i giorni seguenti.
Confermano quanto dice la tradizione sul colore della copertina.

Era nera come la pece.

Al centro riportava l’immagine di una bestia, una creatura metà uomo e metà animale con delle corna da caprone. Subito sotto, una scritta: ADONAI, che tradotto letteralmente dall’ebraico significa “Mio Signore”.
Fuori dall’ambito religioso, spesso veniva utilizzato per rituali massonici, o riti esoterici, un modo per sbeffeggiare il buon Dio.

Il contenuto del testo è ancora più macabro del suo aspetto. Inizia con una prefatio, una sorta di rito d’iniziazione che coincide con la stipula di un patto più o meno consapevole con il demonio.
Passo dopo passo, lettera dopo lettera, si giunge quasi a cedere l’anima: in cambio di questa si ottengono dei poteri
che permettono di comandare e impartire ordini a spiriti e forze inumane le quali, piegate all’autorità del loro capo, sono costrette a ubbidire.

Sfogliando le pagine si possono trovare altri rituali, nomi di demoni, simboli e icone del tutto ignote e incomprensibili per chi ne prenda visione casualmente, ma che lasciano aperto più di un interrogativo.
Ellissi, frecce, righe, immagini orribili.
Le pagine sono scritte in rosso quasi a richiamare il legame di sangue.

Quante copie siano esistite nell’antichità, non è dato sapere.
Molte, simili o analoghe, furono messe al rogo ai tempi dell’Inquisizione.
Tornando a noi, i testimoni che lo ritrovarono, raccontano di averlo bruciato presi dal panico, ma non immediatamente, in un primo momento, infatti, rimasero talmente scossi da lasciarlo dove lo trovarono.

Le notti seguenti al ritrovamento furono seguite da degli orribili incubi: demoni e spiriti turbavano i loro sogni.
Era come se fossero inseguiti da presenze.
Da lì, la decisione di gettarlo nel camino, questo è almeno quello che ci è stato riportato.
Si spera che sia andata così, anche perché, stando a quanto narra la tradizione, le persone che nel tempo l’hanno utilizzato, designavano un erede che lo custodiva e ne faceva uso e prima che la morte giungesse, designava a sua
volta un’altra persona di fiducia.

Sembra però che questa incredibile storia sia terminata proprio così. 
Un giorno, forse per la volontà di porre fine definitivamente a questo legame, un erede non venne più nominato e nessuna copia poté essere conservata.
Il libro bruciò tra le fiamme, così come probabilmente era nato.

PASQUALE DEMURTAS

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