Ecco a voi un altro racconto tratto dal nuovo libro dell’amico Gian Paolo Marcialis, “Racconti del mistero“, una raccolta di 12 racconti ambientati nella Villacidro di streghe, fantasmi, diavoli, spiriti, entità misteriose tra tesori nascosti e tesori sfumati. Ecco uno dei racconti contenuti nel libro. Buona lettura.
“Anche quella tarda mattinata di agosto, dopo aver sbrigato le faccende della mungitura e della pulizia dell’ovile, Taniebi Deidda, si accingeva a condurre le capre al pascolo, nei monti di Magusu.
Le capre aspettavano pazientemente che il loro padrone accudisse alle quotidiane incombenze ma a metà mattina belavano già impazienti, vagheggiando l’erba fresca e l’ombra dei canaloni che si aprivano sui fianchi del monte.
Poi venne l’ora della partenza. Il gregge si avviò impaziente e Taniebi gli stava dietro, sa munciglia (la bisaccia) e lo schioppo sulle spalle, un solido bastone fra le mani e dietro Mebiscedda, la piccola ma intelligente cagnolina che lo aiutava nel controllo delle capre.
Dopo un breve cammino le capre si dispersero nei costoni di monte Magusu alla ricerca della saporita erba di montagna e dei freschi germogli di cespugli e alberi. Mebiscedda sparì con loro, chissà dove… Taniebi si sdraiò sotto un enorme quercia, sulla riva del fiume ormai secco. Si calò il berretto sul viso e si appisolò. Non dormì a lungo. Fu svegliato di soprassalto da un frastuono terribile di cui, lì per lì, non riuscì a comprendere la natura.
Ma alla fine fu sveglio del tutto e gli si sbarrarono gli occhi per la sorpresa mentre un brivido di freddo gli serpeggiava nella schiena. Non era proprio sicuro di essere sveglio perché la visione che si parava davanti a lui era troppo incredibile, troppo assurda per essere vera: le sue capre, come impazzite, correvano disperatamente dirigendosi verso un vicino dirupo.
Taniebi si portò le mani sui capelli, disperato, vedendo le povere bestie dirette a morte sicura. Conosceva bene il dirupo ove si dirigevano le sue povere capre e all’istante capì che avrebbe perso l’intero gregge. Fece appena in tempo a vedere le capre impazzite buttarsi giù nel precipizio… Di colpo il suo spavento si mutò in vero terrore quando davanti gli apparve un enorme maiale, più grande di un grande bue, che stava immobile davanti a lui e lo fissava con due occhi cattivi.
Alla zampa destra portava una grossa catena, molto lunga: Il rumore infernale che aveva appena sentito era stato appunto provocato dallo sbattere di quella sulle pietre. Taniebi si rizzò completamente in piedi spaventato a morte. Poco lontano Mebiscedda, che sembrava non avesse affatto paura di quel mostro, abbaiava furiosamente. Quel terribile mostro si avvicinava pian piano verso di lui e il terrore più folle cresceva nel disgraziato pastore.
Cominciò a urlare disperatamente e iniziò a correre a rotta di collo tra pietre e cespugli, incespicando, cadendo, rialzandosi, ferendosi tra rovi e sterpi. E il mostro dietro. Folle di terrore, Taniebi sentì affiorargli alle labbra il nome di san Sisinnio che sapeva essere il santo invocato contro i demoni e le apparizioni malvagie. Pensarlo e invocarlo fu tutt’uno. Un urlo disperato gli uscì dalla gola: «Santu Sisinni miu, agiudaimì! Aggitoriu!» (San Sisinnio mio, aiutatemi! Aiuto!).
In quella il maiale gigantesco si immobilizzò, si udì un possente boato, come di tuono, nell’aria si sparse un fetido odore di putredine e il mostro prodigiosamente sparì. I parenti del pastore, preoccupati per il suo mancato rientro in paese, l’indomani erano andati a cercarlo all’ovile, tra i monti di Magusu. Lo trovarono seduto davanti alla capanna di frasche, stralunato, il volto orribilmente disfatto, negli occhi l’espressione del più folle terrore.
Nel vicino dirupo trovarono le capre, per lo più morte sfracellate, alcune agonizzanti sui sassi. Taniebi non si riebbe mai più da quella terribile avventura, né riuscirono a fargli spiegare cosa fosse capitato quel giorno all’ovile, tra i monti di Magusu…
Il suo cervello era rimasto seriamente compromesso e sul volto si erano impressi i segni della follia. Talvolta lo si udiva bofonchiare tra sé: «Santu Sisinni aggiudaimì! Aggitoriu!» e in quei momenti gli occhi gli si dilatavano come se assistesse a uno spettacolo di puro terrore. Passata la crisi, ripiombava nell’apatia e nel vuoto più totale. Anche Mebiscedda, la cagnolina, aveva subito un trauma: da quel giorno infausto restò muta e trascorreva le sue giornate accucciata ai piedi del padrone, lo sguardo triste e la vitalità spenta.
Gian Paolo Marcialis
Il libro può essere acquistato:
presso la libreria “Paese d’ombre“, in Villacidro
contattando l’autore su fb: https://www.facebook.com/gian.p.marcialis