Abbiamo dunque in Logudoro, come in molte altre parti dell’isola, tre qualità principali di pane: sa simula (semola, generalmente grosso), su poddine o, come dicesi a Bono ed a Ghilarza, su zicchi (fior di farina, generalmente rotondo e sottile), su chivarzu (pan nero, cruschello, generalmente sottile e rotondo).
Furfere (lat. furfur) nei dialetti di Logudoro ha il significato di crusca. La parola chivarzu poi viene dal cibarium dei Latini.
Ricordo, tra gli altri pani sardi, i seguenti: s’ orzatu di Pattada (pane d’ orzo, pei servi), su cogone (pan bruno, grosso) del Goceano e di Padria, lu coccu (pane azzimo cotto nella cenere calda) degli stazzi di Gallura, su coccoi del Campidano (pane a ciambella); su cocorroi (cruschello), su cola cola (farina di prima mano), sa cozzula, sa cozzula purile (sucenericcio), pane de pumuederra (pan di patate), su pane de trigu-india (pan di granturco) di molte parti del Logudoro, ed infine sa lippe (pan nero, grosso) di Nuoro, e su coccone (pan grosso di Bitti).
E quanti pani di forme diverse ed originalissime non si fanno in Logudoro in occasione di feste pubbliche o domestiche!
Il Capodanno ci arriva allegramente col capude (lat. caput) dei maggiorenti del paese, sa giuada (lat. juguin) degli agricoltori, sa pertusitta dei pastori, focaccie tutte enormi e tradizionali già descritte dal mio distinto amico, il teologo Giuseppe Senes, in un articolo comparso sull’ Osservatore Romano.
La pertusitta ha sulla sua sommità figurati, in alto rilievo, un pastore col cane legato alla cintola, un ovile (sa
pinnelta, lat. pinnaculum), e delle pecore.
Pel Capodanno si preparano anche sos bacchiddos (lat. bacillus), da regalarsi ai bambini poveri, i quali chiedonli, cantando, colle seguenti parole: Dademi su canneti (forse da kalendae)
– chi mi hai mandadu Deu – ei sa trinidade – su canneti mi dade, oppure : Dademi su acchiddu – Bos campet
su pobiddu (lat. pupillus) – et sa masonada (frane, maison) – sas baccas sun anzadas (agnare) – e fattu han tottu e feminas, ecc
Per la domenica delle Palme si fa a Ghilarza su coccoi de palma (pane intrecciato, come s’intrecciano le palme).
A Sassari per il giorno di Pasqua si prepara la cozzala di l’obu, ed a Ghilarza su coccoi de angulla (focaccia colle uova).
All’aia si mangiano sas coccas (pane grosso, a ciambella): per gli sponsali preparasi su pane de cojuados noso (pane lucido, sottile, artisticamente foggiato).
Quando s’ uccide un maiale, il che per una casa sarda è festa solenne, si fa sa cozzula de sa erda (pane con cicciuoli, da cui sia stato estratto lo strutto).
Per Ognissanti si prepara su pane ammoddigadu, o, come dicesi a Ghilarza, su moddizzosu (pane spugnoso).
In nessuna festa poi manca su pane franzesu (pane francese, o pan di zucchero).
Ed eccoci finalmente ai dolci e pasticcini tradizionali.
Sas cattas (mer. zipulas dal latino barbaro, sett. frisgioli) sono una sorta di frittelle, a forma di cordicella, sos busones (sett. li brugnoli) sono berlingozzi di formaggio, uova, prezzemolo e farina), sas frisciolettas (frittelle dolci), sas origliettas (frittelle di pasta al burro con miele) si fanno nei giorni di carnevale.
Sas cupulettas (marmellate di miele e di mandorle), sas tericas (marmellate di sapa e pasta al burro) chiamate in Gallura li cucciuleddi, sas casadinas (mer. parilulas, schiacciatine di formaggio fresco, con veste di pasta al burro, e intrecci e ghirigori di rosso d’ uovo o di pasta alla sommità) sono i dolci
della Pasqua.
Sos pabassinos, per cui va meritamente famosa la città di Ozieri, sono specie di pani d’uva passa, o mandorle e noci, e consacrati al dì dei morti.
Ghilarza consacra al dì del Corpus Domini su pane de casu (pane di formaggio, adorno di foglie di noce e di finocchi).
È ancora necessario il ricordare s’avanzata (scorza d’ arancia, mandorle e miele) di Nuoro, su gattò (mandorlato) di molti paesi sardi, s’impanada (pasticcio con anguille) di Logudoro, su ziddinis del Campidano (torta di sapa, ceci e mandorle), sos piricchittos (zuccherini), ed infine i rinomati biscotti
di Castel Sardo.
Roma, marzo 1891.
G. Calvia.