Con questo secondo articolo (se hai perso il primo clicca qui) ti esponiamo le ipotesi sull’utilizzo del Tempio di su Benatzu da parte delle antiche genti che lo frequentarono. Il testo è tratto dal libro di uno degli scopritori del sacro ipogeo, “Il tesoro del Tempio ipogeo di Su Benatzu” (ed. Grafiche del Parteolla, 2019) il geologo Antonio Assorgia. Buona lettura.
Per mezzo di queste nuove visioni e precisazioni l’Autore spera di aver offerto al lettore un testo capace di invogliarlo ad appassionarsi, oltre che della “storia” della scoperta del Tesoro, anche degli aspetti etici e religiosi delle comunità preistoriche che afferirono al Tempio di Su Benatzu.
Purtroppo, gli studi finora effettuati sul sito sacro non sono riusciti a dare risposte definitive ad una serie di interrogativi sorti durante la sua individuazione ed esplorazione: tra i tanti quello relativo alla datazione dell’inizio delle frequentazioni rituali, ma soprattutto la data della loro improvvisa cessazione.
Per la risoluzione di quest’ultimo importante problema, ci si augura che possano essere effettuate ulteriori indagini sia radiometriche, col C14, sia con altri metodi, su campioni raccolti in vari siti e contesti stratigrafici della cavità.
Ma ancor prima di soffermarmi sul significato intimistico e sacro degli oggetti votivi presenti nella Grotta Pirosu, ho voluto analizzare le particolari caratteristiche topografiche, morfologiche e logistiche di questa cavità, scelta dai nostri antenati come Tempio, cioè luogo sacro.
In essa vi entravano, fino a non poco tempo fa, occasionalmente, i pastori e i viandanti per prelevare acqua di stillicidio che continuamente percola dal soffitto e si raccoglie in alcune concavità: le così dette “vaschette”, poste tutte nel suo settore sudoccidentale, poco distanti dagli ingressi della cavità.
In particolare, una delle entrate della Grotta Pirosu (la più orientale) sembrerebbe disposta proprio nella posizione ideale per godere lo spettacolo dei primi raggi del Sole, che penetrano nel suo oscuro recesso, nel Solstizio d’inverno.
Questa particolare posizione astrale del sole rappresentava per i nuragici la “Rinascita della luce” e assumeva, perciò, una particolare rilevanza simbolica anche nella vita comunitaria.
D’altra parte, all’interno della cavità, a circa 150 metri dall’ingresso e a una profondità di circa 50 è ubicata la “Sala del tesoro” con annesso altare (una grossa stalatto-stalagmite), sul quale erano posizionati gli oggetti sacri del cerimoniale: il tripode, il pugnale ad elsa gammata, un lebete e la navicella.
Questo recesso sacro (Templum coeleste) risulta poi ubicato nel settore occidentale della cavità, grosso modo in corrispondenza del tramonto del sole.
Pertanto, nel Tempio votivo di Su Benatzu, sarebbero presenti due precisi posizionamenti astrali del Sole che, per le comunità nuragiche, rappresentavano una sintetica concezione ciclica della vita: la nascita e la morte.
Per quanto riguarda l’aspetto esoterico delle grotte, esse sin dal Paleolitico rappresentavano il “Principio Vitale” che animava il corpo durante la vita di ogni singolo individuo.
Tuttavia, senza, forzatamente, rivestire la cavità di Su Benatzu di simbolismi platonici o junghiani, basterebbe solo assegnarle il ruolo d’incontro dell’anima con le Divinità, dalle quali era possibile impetrare grazie e favori e, nel contempo, svolgervi riti d’incubazione, di divinazione e di venerazione dei defunti; in definitiva un “Santuario”: luogo magico e sacro.
D’altra parte, la Grotta Pirosu possedeva tutte le caratteristiche della Grotta-Santuario, in quanto, pur fornita di molteplici entrate, era difesa da una muraglia megalitica, addossata alla parete che corre dall’ingresso centrale fino a quello orientale.
Quindi un luogo adatto a ricevere e custodire i doni votivi offerti dai fedeli, che vi recavano per impetrare i favori di varie divinità e per onorare la memoria dei propri cari.
In particolare, il prof. Maxia, che ebbe modo di analizzare a lungo i reperti votivi di Su Benatzu, aveva constatato come tutti gli oggetti offerti fossero stati “usati” (taluni addirittura risultavano fuori uso) e, per quanto riguarda quelli fittili, deduceva che:
I familiari di un defunto dedicavano un recipiente usato di ceramica, come simbolo della di lui consunta vita, alla temuta divinità ctonica, il sole tramontato[. . .] affinché gli fosse benigna.
Lo stesso motivo può aver indotto gli abitanti di quella comunità ad offrire alcune “macine”, rivenute in una delle sale più esterne della cavità, che è stata, per l’appunto, denominata “Sala delle macine”.
Probabilmente esse furono deposte in questo sito per fare memoria di chi ne faceva maggiormente uso: le donne della comunità nuragica.
Appartenenti al personale addetto al cerimoniale sono da annoverare il Tripode, la navicella ed il pugnale “sacrificale” ad elsa gammata di piccole dimensioni.
In definitiva, le varie tipologie degli oggetti votivi, riscontrati nel Tesoro di Su Benatzu, potrebbero indurci ad ipotizzare che le Comunità che afferivano al Tempio di Su Benatzu, per le loro pratiche cultuali, avessero una organizzazione sociale strutturata in “sfere” di autonomia professionale e produttiva, nonché di divisione del lavoro e di classe.
Una Società composita, con una certa suddivisione del lavoro, gerarchizzata e, probabilmente, in continua evoluzione, a causa dei contatti, non solo commerciali, con altre civiltà mediterranee.
Probabilmente, ad una primitiva società tribale, con una economia prevalentemente pastorale, si accomunò o si sostituì, nel tempo, quella più diversificata di tipo essenzialmente agricolo-pastorale.
D’altra parte, un attento esame del materiale votivo riposto nella Sala del tesoro di Su Benatzu, porterebbe a queste considerazioni:
I prodotti della cultura materiale, in particolare quelli metallurgici, attestano un’economia forte e rivelano contatti ideali e rapporti commerciali con le sponde del Mediterraneo. E’ la vera stagione sarda, il periodo di maggiore fiore […] della Civiltà nuragica.
A. Moravetti, Introduzione al volume di G. Lilliu, La Civiltà dei Sardi, op. cit., p. XXVII).
Da quanto esposto, si potrebbe ragionevolmente dedurre che il Tempio ipogeo nuragico si Su Benatzu, duemila e ottocento anni fa, costituisse un luogo di culto, segno della presenza reale di Divinità, delle quali poco conosciamo, specie nelle loro complessità trascendentali.
Verosimilmente, le pratiche votive e sacrificali che vi si svolgevano, forse periodicamente, conducevano lo Spirito dei fedeli, appartenenti alle Comunità di Su Benatzu, alle soglie di nuove visioni del mondo, della vita e dei suoi “Fini ultimi”.
Sicuramente, dalla qualità, quantità e stratificazione, nonché dalle modalità con le quali veniva deposto il materiale votivo nel Sancta Sanctorum, si sarebbe potuto interpretare ancor meglio il tipo di Comunità, il “linguaggio rituale” e la spiritualità di quelle popolazioni vetero-sulcitane.
Purtroppo, a seguito dello smantellamento, più volte ricordato, della “Sala del tesoro” della Grotta Pirosu, l’interesse degli studiosi si è concentrato, necessariamente e soprattutto, sulle caratteristiche tecniche ed artistiche della ricca stipe votiva e delle analogie, dei rapporti ed influssi con le altre civiltà mediterranee.
Esaurita però la fase descrittiva del materiale votivo, condensata in numerosi articoli scientifici, editi in riviste specializzate od in pregevoli tomi, un velo impietoso è calato sul Tempio di Su Benatzu.
Probabilmente l’alterazione o cancellazione dell’originario assetto del materiale deposto nella “sala del Tesoro” ha dissuaso molti studiosi a cimentarsi in altri “filoni” di ricerca o aspetti particolari, alcuni di estrema importanza, sicuramente di difficile risoluzione, che qui si propongono:
- Ricerche palinologiche e botaniche sulle ceneri.
- Ricerche sui frammenti ossei nelle ceneri.
- Studi stratigrafici sia all’esterno (mura megalitiche) che all’interno della cavità.
- Studi speleo genetici della cavità.
- Rilevamento archeologico e geologico delle aree antistanti la Grotta Pirosu.
- Analisi granulometrica e composizionale delle ceneri presenti nella Sala del tesoro.
- Nuove datazioni radiometriche sulle ceneri presenti ancora nei vari siti della cavità.
- Ricerche Storiche, Antropologiche e Paletnologiche.
Per quanto riguarda il perché e il “quando” si sarebbe attuata l’improvvisa cessazione delle pratiche cultuali e votive nella grotta Pirosu, una risposta a quest’ultima domanda sarebbe potuta venire, sicuramente, tramite le datazioni assolute (con il radio Carbonio) su campioni di cenere prelevati nell’ultimo “strato” dei vari cumuli di vasellame presenti nella Sala del Tesoro.
Purtroppo, dopo il prelievo forzato di tutti gli oggetti custoditi nel Tempio ipogeo, sarà più difficile avere delle risposte significative.
Tuttavia, penso che con l’aiuto di esperti di varie discipline (oltre s’intende l’Archeologia) quali: l’Antropologia, la “Storia delle religioni”, la “Cosmologia”, la “Soteriologia”, la “Psicologia del profondo” e l’”Archeoastronomia” sarebbe forse possibile affrontare meglio queste intricate problematiche nel tentativo di dipanarle.
D’altra parte, il problema del “collasso” o “crollo sistemico” delle civiltà antiche è un problema anche attuale e molti studiosi hanno cercato di stabilirne o definirne le molteplici cause.
Ci si augura che molti studiosi si vogliano cimentare nella ricostruzione delle vicende storiche e sociali che hanno determinato la “dissoluzione” dei valori comunitari, mistici e vitali che animavano, molto tempo fa, i fedeli che frequentavano il Tempio ipogeo di Su Benatzu.
Al termine di questa Memoria, vorrei ricordare, oltre agli scopritori Franco Todde e Sergio Puddu, anche gli altri speleologi, che hanno fatto parte dell’Associazione Speleologica Iglesiente e che ci hanno lasciato:
Paolo Urracci, suo padre Raimondo, Antonello Tani, Aldo Serra e Paolo Mei.
Anche a nome loro auguro che, nel Tempio ipogeo “ricostruito” di Su Benatzu, molti altri possano provare quelle sensazioni che toccarono il nostro animo, quella stupenda notte tra il 23 e 24 giugno del 1968.
Antonio Assorgia -Dicembre 2019-