Ha 89 anni e ha già detto che la sua vita finirà ai 93. Abita a Santa Chiara in provincia di Oristano. Una volta ci vivevano 30 famiglie, operai che lavoravano per la Società Elettrica Sarda. Con la chiusura dell’impianto nel 1997 se ne sono andati tutti
Isabella su questo non ha dubbi: «Morirò a 93 anni. Sì, 93 esatti. Ne sono certa, questo è tutto previsto da tempo. Sono pronta a scommettere, ma la fregatura è che se vinco non potrò riscuotere il premio». Come lo abbia capito, o chi le abbia confidato la data della morte, non è dato sapere. Ma i misteri sono l’essenza della vita di una sensitiva, di una che qualche maresciallo continua a interpellare per dare un nome agli assassini e per catturare i latitanti.
Isabella Flore non ha ancora compiuto 86 anni e per altri 7, se la sua previsione sarà confermata, continuerà a vivere in un paese tutto suo. A Santa Chiara sul Tirso l’unica luce accesa è quella della sua cucina. Le altre case, quelle che ancora sono in piedi, sono tutte vuote: le porte e le finestre lasciate chiuse dagli ultimi abitanti sono state abbattute dai vandali.
Della vita di questo piccolo borgo affacciato sul lago Omodeo, al centro della Sardegna, sono rimaste davvero pochissime tracce: un vecchio materasso, due o tre pentole arrugginite, una forchetta sommersa dai calcinacci e una panchina corrosa dagli anni e nascosta dai cespugli.
Dentro il vecchio cinema resistono soltanto quattro sedie in legno, l’ultimo vecchio proiettore qualcuno se l’è portato via da poco. L’unico angolo sottratto all’incuria, ma non all’assalto dei teppisti, è la chiesetta: Isabella l’ha fatta ristrutturare e la tiene pulita, ma il parroco del paese vicino viene a celebrare qui soltanto due volte all’anno. «Io sono una donna molto religiosa, ma questo non basta per farmi traslocare – dice Isabella – Gesù Cristo lo incontro ogni giorno, ci parlo durante la notte, è sempre presente nella mia casa. Certo, se il prete venisse più spesso a celebrare sarebbe per me una grande gioia, ma non posso avere la messa quotidiana solo per me. Da qui, comunque, non vado via per nessuna ragione: questo è il mio paradiso, è l’unico luogo al mondo che mi può rendere felice. Non ho vicini di casa, è vero, ma non mi sento sola».
Santa Chiara è un paese nato e morto in meno di un secolo. Ci abitavano i dipendenti della «Società elettrica sarda»: le famiglie degli operai e dei dirigenti che si occupavano della gestione della grande centrale elettrica messa in moto negli anni Venti sulla vecchia diga del Lago Omodeo. L’impianto è stato fermato nel 1997 e le trenta famiglie che vivevano qui sono andate via per sempre.
Isabella è rimasta da sola. «Anche mio padre lavorava nella centrale e io qui sono cresciuta. Era bello, eravamo tutti amici, le nostre famiglie andavano sempre d’accordo. Ci si aiutava a vicenda. A Santa Chiara avevamo tutto: adesso sembra un luogo fantasma, ma questo era un paese vivo, vivace, allegro. Stavamo bene, non siamo fuggiti neanche quando abbiamo subito i bombardamenti, alla fine della Seconda guerra mondiale. Me lo ricordo come fosse ieri quel giorno: stavo raccogliendo fave insieme a mio padre e a un gruppetto di ragazzine. Sono arrivati in silenzio gli aerei americani e in un attimo hanno scatenato l’inferno. Io sono fuggita, ma mi sono procurata una ferita al piede e a un occhio. La diga per fortuna ha resistito, altrimenti mezza Sardegna sarebbe stata inondata. Da molti anni non entravo nelle altre case, non mi aspettavo che fossero ridotte in questo modo. È una disperazione vederle così».
Quella di Isabella è la prima casa di Santa Chiara: «Chiunque venga in pace è benvenuto», è scritto in un cartello affisso accanto al cancello. Le pareti sono tappezzate di vecchie fotografie e rosari. Nel grande giardino ci sono piante di ulivo e albicocche. Un tempo c’era anche un orto, ma ora è tutto regno di dieci gatti e un piccolo cane. «Quando ero in forma mi prendevo anche cura della terra, il terreno lo aravo io. Ho fatto di tutto nella mia vita: ho cresciuto tre figli con le mie forze, ho lottato per i diritti della mia bambina disabile e da sola ho pianto per la sua morte, mi sono ristrutturata questa casa, sono andata a scuola da grande, ho aiutato molta gente e pregato tanto. Ma non sono mai stata felice: prima sono finita nelle mani di un uomo che diceva di amarmi e che invece mi malmenava e mi violentava. Sono fuggita dalla sue grinfie e l’ho abbandonato, ma cinquant’anni fa le difficoltà per una donna separata erano tantissime. Anche dal punto di vista dei pregiudizi. Insomma, ho affrontato sempre nuove difficoltà e ora che sono vecchia sto continuando a soffrire».
Ai dolori fisici e a quelli dell’anima, la regina del lago Omodeo ha trovato sempre la stessa spiegazione: «Sono prove che Gesù Cristo mi sta dando, diciamo che me l’ha fatto capire tante volte. In cambio mi ha dato il privilegio di vedere e prevedere ciò che sta per accadere. È lui che mi sveglia la notte e mi mostra situazioni che ancora non sono avvenute. Non sono una folle, ve lo assicuro. Provate a chiederlo ai parenti di un uomo venuto qui da un paese vicino: gli avevo detto che qualcuno voleva ucciderlo e puntualmente è avvenuto. Oppure, chiedetelo al maresciallo che si è presentato più volte per farsi aiutare a stanare i delinquenti. Venticinque anni fa, in primavera, avevo visto una nave in fiamme: qualche giorno dopo c’è stato il dramma della Moby Prince nel porto di Livorno. E nei giorni scorsi, questo non l’ho confidato ancora a nessuno, avevo anche visto il terremoto. Ma certo non potevo sapere dove sarebbe successo».
Articolo tratto da La stampa a firma di Nicola Pinna
La signora Isabella vive a tutt’oggi nel villaggio abbandonato di Santa chiara.