Le janas vengono descritte come una specie di piccolissime fate che vivevano in buchi scavati nelle rocce (le cosiddette domus de janas).
Le domus de janas sono in realtà delle sepolture preistoriche, con vani molto piccoli, che la fantasia popolare ha trasformato in dimore di fate.
Queste uscivano solo di notte, affinché i raggi del sole non rovinassero la loro candida pelle. Quando, nelle notti senza luna, si spostavano per andare a pregare presso i templi nuragici, erano costrette a percorrere sentieri ripidi e ricoperti di rovi.
Per evitare le spine, le janas diventavano luminose: questo chiarore segnalava la loro presenza.
Erano specializzate in ogni tipo di lavoro domestico: tessevano splendide stoffe e preparavano un pane più leggero dell’ostia.
Secondo la leggenda, possedevano telai d’oro, setacci per la farina fatti d’argento. Ma non solo: esse custodivano un immenso tesoro, fatto di oro, perle, diamanti.
A difesa di queste ricchezze erano poste le cosiddette muscas maceddas, orribili creature con testa di pecora, un occhio solo al centro della fronte, denti aguzzi, ali corte e, sulla coda, un pungiglione velenoso.
Le muscas si trovavano nascoste dentro una cassa, mischiata a tante altre contenenti il tesoro.
Poiché nessuno osava rischiare di aprire la cassa sbagliata, liberando così i terribili insetti, il tesoro da sempre era e rimaneva di proprietà delle janas.
Le janas accompagnavano il loro lavoro con un bellissimo canto: la melodia si spandeva nell’aria e nelle notti silenziose dava conforto ai viandanti solitari.
In provincia di Oristano esistono diverse leggende legate alle janas, tra cui quella della fata del Sinis e della fata di Riola. La janas del Sinis aveva accolto la preghiera di un contadino trasformando un pugno di grano in tante mucche, il cui numero raddoppiava nel tempo. Affinché la magia fosse duratura il contadino doveva toccare le mucche e al suo tocco queste si chiazzavano di bianco; ancora oggi i vecchi raccontano che le vacche pezzate del Sinis discendono da quella mandria fatata. La fata di Riola era conosciuta come Signora di s’Onnigazza e possedeva enormi tesori, accumulati grazie alla sua abilità nelle arti magiche. Poiché si tentava spesso di derubarla, aveva fatto cingere il suo castello da un grande fossato pieno d’acqua, del quale era lei stessa prigioniera. Questa donna bellissima, ricca e potente, era anche molto delicata: si narra che sia morta perché colpita da una goccia di rugiada.
Nota: Tratto da http://www.sardiniapoint.it