In questo articolo tratto dalla Rivista delle tradizioni popolari italiane del 1894 si descrive a grandi linee quelle che dovevano essere le idee del popolo sulle donne reputate streghe.
Immagino che lo stesso identico discorso fosse valido per la Sardegna. buona lettura.
Diana, la vaga dea, la casta luna, la regina della caccia a cui i poeti greci e romani antichi attribuivano le più elette qualità, come bellezza, eleganza, seduzione, fascino, che divennero poi proverbiali, fu dai primi apostoli del Cristianesimo appellata col nome, poco invidiabile, di “Dea delle streghe“.
Similmente buona parte degli Dei dell’ Olimpo subirono in quei tempi curiose metamorfosi, appunto perchè si voleva che le nuove dottrine di Cristo avessero il sopravvento sulle vecchie; si cercava ogni mezzo onde nelle menti del volgo divenissero ripugnanti, e col disprezzo ottenerne la totale dimenticanza sotto l’aspetto religioso.
Accennato così sommariamente alla “Dea delle streghe”, vediamo ora quali siano le superstizioni ancora viventi nel Tirolo italiano e nell’alto Veneto, riguardo alla “Comunità delle streghe“.
Le streghe possono essere di tre categorie
- Nate streghe — se la madre, già appartenente alla “Comunità”, fece voti al diavolo prima della nascita della prole; in questo caso la strega nasce col così detto “segno del diavolo” (vedi le Cogas sarde), consistente in una macchia nera od oscura in qualche parte del suo corpo.
- Divenute streghe inscienti — se prima della somministrazione del battesimo furono “toccate” da qualche strega, oppure se il sacerdote nel sacramento del battesimo commise qualche « sbaglio », o non ottemperò a tutte le “prescrizioni di rito”.
- Streghe volontarie — se in matura età si sono date per “trasporto” in “potere del diavolo”, il quale seppe fornir loro le qualità indispensabili per le “stregonerie“.
Ma, per divenire streghe di quest’ultima categoria occorre sottomettersi ad una cerimonia intricatissima ed orribile: L'”aspirante” alla presenza del diavolo e della “Comunità delle streghe” riunita o sotto un “albero di noce” o in “un quadrivio” deve dire prima tre volte il Credo in tre maniere diverse.
Primieramente alla “rovescia”, ossia cominciando dalla ultima parola, poscia “negandolo” dicendo, per esempio, – in luogo di “io credo” – “io non credo” e via via; terzo frapponendo il “diavolo” e tutte le sue “gesta”, dove si nomina l’onnipotente Salvatore del mondo, e sostituendo ancora alle “Santa Chiesa” la “Comunità delle streghe”.
La neo-strega deve poi dire il Paternoster verde (o Pater noster nero, Schwarze Paternoster, come si dice in lingua tedesca), che mi fu recitato appunto in tedesco e che naturalmente dev’essere uguale a quello italiano.
Lo potrei trascrivere, ma è tale un orrore di contumelie sacrileghe, che la mia penna si rifiuta.
Anche questo deve essere ripetuto in tre maniere nello stesso modo pressoché del Credo.
La donna che me lo recitò, dietro infinite mie preghiere, era del Tirolo italiano e ricordo che mi soggiunse:
— Basta che ora non mi capiti qualche malanno addosso.
E, pare combinazione strana, dopo pochi giorni un suo figlio andando alla caccia dei camosci, cadde da una rupe e si spezzò una gamba.
È credenza che la “Comunità delle streghe” sia regolata da leggi, tradizioni e costumi curiosi e secretissimi ; possegga particolari ricette atte alle “stregonerie”, specialità per le operazioni e prescrizioni di qualsiasi bisogna.
Tutto ciò è scritto nell'”Enciclica del diavolo” (chiamiamola così), che nell’alta Germania ed in Scandinavia vien chiamata “Cjprianus” o “Cifrianus” (scrittura a cifre con sangue); nella bassa Germania “Arte nera” (schwarze Kunst); nell’alta Italia d’accordo pienamente con Jack la Bolina “messa nera”.
Cosi pure e quasi universale che la “Comunità delle streghe” abbia la potenza diabolica della “mala vista“, ossia che un qualunque componente di essa possa, fissando in viso una persona, causarle malanni, malattie, sfortune.
Tali sventure causate dalla malizia delle streghe possono guarire od essere sventate, per rivolgersi alla medesima mediante un certo pagamento in danaro, oppure ricorrendo a qualche altra strega nemica dell’autrice, la quale, per vendetta o per dispetto “disfà” la stregoneria.
Questi dissidii fra la “Comunità” vengono dibattuti a guisa di processi penali nei “Concili” che ogni giovedì o sabato (a seconda dei paesi) si tengono nei “crocicchi di strade” o sotto le “piante di noce”.
I mezzi di trasporto per comparire a questi “Concili” sono universalmente i medesimi : “cavalcando sui manichi delle scope o sui covoni di frumento” ; le vie da percorrersi “su per i camini”.
Le streghe, nella loro apparenza ordinaria, non hanno alcun segno visibile, dal quale possano essere ravvisate.
Esse debbono ubbidienza a “certi doveri loro imposti”, in “certe ore” ed in “certi luoghi” e se a qualcuno è dato di sorprenderle in tali momenti, scoprono, nelle forme e nella natura alcunché di diverso.
Ero a Merano (Tirolo italiano) e rammento che una contadina mi narrò questo caso a lei successo, convintissima di quanto diceva :
— Tempo addietro mi trovava ad una festa nuziale in casa di certi contadini benestanti del paese ; verso sera mentre si appressava l’ora della cena, proprio in quel mentre che era necessaria più che mai la presenza della padrona di casa, madre della sposa, ella, senza veruna ragione, in tutta fretta si allontanò.
Poco dopo una delle convitate, amica di famiglia, aperta per caso la porta di casa che dava sull’aia, vide la padrona “a cavallo di un covone di frumento” che correva con le sottane al vento “e con due corni di bue sulla testa”, fuori del cancello.
Passato un po’ di tempo la padrona ritornò dalla stessa porta dalla quale era uscita, e come se nulla fosse successo, continuò le sue faccende; era essa una strega stata chiamata
in fretta a qualche “concilio diabolico” cui aveva dovuto assolutamente obbedire.
Un altro caso mi raccontò la medesima contadina :
— Una volta viveva in paese una bolla e giovane vedova benestante, che la voce pubblica affermava strega.
In una certa sera di carnevale ella si rifiutò di accorrere ad un “convegno di streghe” ed all’opposto si recò ad una festa da ballo riccamente vestita.
Ad ora tarda di notte, ritornata a casa, fu seguita da due “signori” che entrarono in camera con lei.
Quivi si udirono rumori strani, strepiti insistenti per tutto il resto della notte, tanto che la servitù fuggi di casa spaventata; ed alla mattina dippoi quando ritornò con gente di soccorso per vedere cosa era accaduto alla loro padrona, la trovarono sulla soglia della porta d’ ingresso spalancata, stesa a terra morta, tutta contusa dalle “zampe di cavallo” e colla “bocca piena di ghiaia”.
Magadino, aprile 1894.
Lady Vere de Vere.