La Grotta della Vipera, o Grutta e sa Pibera in sardo, è uno dei luoghi storici più affascinanti della città di Cagliari. Situata al numero civico 87 di Viale Sant’Avendrace, è un antico sepolcro gentilizio scavato nella pietra forte tra il I e il II secolo d.C. che ospita la salma di Atilia Pomptilla, nobildonna romana.
La storia di Atilia e del suo coniuge Cassio Filippo, che riposa accanto a lei, è tanto romantica quanto commovente, ed è considerata una delle più avvincenti vicende d’amore della Cagliari antica.
C. Cassio Logino, padre di Lucio Cassio Filippo, fu condannato all’esilio in Sardegna per ordine dell’imperatore Nerone nell’anno 65 d.C. Lucio lo raggiunse nell’isola, ma contrasse la malaria, una delle malattie più comuni dell’epoca, e morì.
Afflitta dal dolore per la morte del coniuge, Atilia pregò gli dei affinché prendessero la sua vita in cambio della guarigione di Filippo. Le sue suppliche furono esaudite, e il marito si riprese, ma Atilia, serenamente, cessò di vivere.
Cassio Filippo diede l’addio alla consorte, facendo scavare un tempio sotterraneo in sua memoria. Il frontone sovrastante l’ingresso del tempio recita la dedica “O.P.O.S. MEMORIAE. ATILIAE. L.F. POMPTILLAE BENEDICTAE. M.S.P.”, in onore della matrona deceduta all’età di 60 anni, e vi sono scolpiti due serpenti, che il popolo considera vipere, preceduti da foglie. I serpenti sono posti uno davanti all’altro per simboleggiare la vita eterna e soprattutto l’immortalità dell’amore coniugale.
Nel Seicento la grotta era nota come “Cripta serpentum”, e presentava quattro colonne sormontate da capitelli in stile ionico e affiancate all’ingresso centrale. Dietro l’ingresso, si trova la camera sepolcrale, ampliata nel corso di due secoli per conservare nuove urne cinerarie e altre salme. Le pareti presentano una serie di incisioni greche e latine che completavano i versi di dodici poesie sentimentali dedicate alla sposa cui Filippo era sopravvissuto, dalle quali è stata tratta, anche se in parte, la storia del monumento.
Il tesoro nascosto
Correva l’anno 1641. Era il 12 Ottobre. Una spedizione a cavallo con in testa il ministro di giustizia Antiogo Corria, superò l’attuale viale sant’Avendrace alla volta dell’antica tomba, conosciuta al periodo come Cripta Serpentum, che ospitava due coniugi, vivi e vegeti. Infatti, al posto dei defunti sposi romani, c’erano Satta Giovanni e Lochi Marianna, residenti da un pezzo nella Gruta dela Serp. I due coniugi, essendo in possesso di preziose informazioni sull’esistenza di un tesoro, avevano chiesto al procuratore reale una licenza per iniziare le ricerche (sercar uno escusorju).
Il signor Satta accolse a braccia aperte la nobile commissione e strinse la mano al notaio Didaco Cao che sciorinò una lettera ed esclamò:
“Siete autorizzati dal procuratore del regio pratrimonio. Adesso potete avviare le ricerche per il tesoro ma se troverete qualcosa, dovrete avvisare tempestivamente il procuratore reale per accordarvi sui futuri provvedimenti…”
I coniugi Satta iniziarono le ricerche ma non ci è dato sapere se alla fin fine trovarono qualcosa. Sta di fatto che i cagliaritani, fantasticando, parlarono a lungo del rinvenimento di un gran tesoro che venne diviso tra i poveri abitanti del borgo di Sant Vendres. Eppure nell’archivio di stato di Cagliari è conservata l’autorizzazione del procuratore reale per avviare la ricerca del tesoro. Nel fondo della grotta sono presenti due cunicoli di cui non si conosce ancora l’origine. Si sa che il pavimento del sepolcro è ormai scomparso e il fondo attuale si trova 5 metri più in basso.
Forse questo scavo è stato creato dai cavapietre in un periodo da accertare, probabilmente nel 1822, durante la costruzione della strada reale ma non è escluso che si tratti di qualcosa di più antico. In fondo a questo scavo si aprono i due cunicoli. Il primo posto davanti all’ingresso della Grotta, è allagato da una pozza d’acqua sorgiva, il secondo cunicolo, a sinistra rispetto all’ingresso, termina dopo pochi metri.
Il cunicolo allagato potrebbe essere stato usato come fonte sacro nei primi tempi del cristianesimo, quando i fedeli vi accedevano utilizzando alcuni gradini parzialmente scavati nella roccia, ancora visibili e praticabili con prudenza. Nel XVII secolo, la disperata ricerca di reliquie e santi, aleggiò su questo sito collocandovi la tomba di una santa Pontilla, che visse in loco manifestando la propria fede in cristo a numerosi adepti.