La Pattadese, prende il nome dal suo paese d’origine, Pattada, piccolo centro del nord Sardegna, ma grande sotto il profilo artigianale-artistico.
Questo coltello a serramanico, dalla linea sinuosa, affusolata e piacevole, non ha rivali poiché rappresenta sicuramente il coltello sardo per antonomasia. Fin dai tempi più remoti ha mantenuto inalterate le sue caratteristiche principali, ossia l’innovazione del manico in monoblocco con un’anima in ferro o ottone ospitata tra due guancette in corno, che rendono il coltello più resistente e indeformabile.
Chiamata anche “sa resorza”, essa veniva commissionata direttamente al fabbro coltellinaio che doveva costruire il coltello a seconda delle esigenza che andava a servire. Il pastore poteva usarlo per nutrirsi, difendersi, uccidere le bestie o solamente collezionarlo e ad ogni uso doveva corrispondere una diversa lunghezza, pesantezza e maneggevolezza. Per la realizzazione del manico solitamente veniva usato il corno di montone o muflone, in quanto molto resistenti. Per forgiare la lama i fabbri utilizzavano acciai ricavati da vecchie baionette o da balestre di calessi.
La storia racconta che quando c’era carenza di questi acciai, il fabbro forgiava le sue lame da un semplice treppiede, che esposto continuamente al forte calore del fuoco, assumeva le proprietà dell’acciaio. La ghiera personalizzata con delle raffigurazioni e le incisioni sulla lama davano e danno tuttora ad ogni coltello un tocco di unicità.
La necessità di una maggiore produzione, dovuta alla crescente domanda del prodotto “coltello sardo” nel mercato nazionale ed internazionale, ha affiancato alla manifattura artigianale quella semi-artigianale ed industriale. Queste ultime, nonostante la diversità di materiali utilizzati per il confezionamento e la minor accortezza nelle rifiniture, hanno mantenuto inalterate le caratteristiche morfologiche del Pattada. Bisogna comunque ricordare che l’artigiano sardo non riconosce in alcun modo la produzione industriale.