Un uomo aveva avuto in sogno un tesoro nascosto, uno scusorgiu, nell’ampio cavo di una quercia antica, un pò lontano dal Paese, e consociato con un altro uomo col quale non correvano relazioni di buona amicizia.
E ciò lo rendeva preoccupante.
Comunque deposta l’uggia, e confortato dall’idea che il consociato era un fervido credente nei tesori nascosti e che, quindi, ci avrebbe pensato da sè, lo avvicinò, lo salutò gentilmente e, senza mostrare premura, poco dopo lo invitò a fare una passeggiata in campagna con lui.
Pur con grande stupore con quella gentilezza e quell’invito insoliti, il consociato accettò, e si avviarono per una strada di campagna, parlando del più e del meno. E così, quasi senza avvedersene, erano giunti nei pressi della quercia, che però si trovava fuori mano, in un pendio a valle della strada.
L’uomo del sogno varcò il muretto, che fiancheggiava la strada, per andare da quella parte; e l’altro si fermò esitante, chiedendo:
– Ma dove vuoi andare?
– Là, verso quella parte – rispose, indicando la direzione della quercia.
– E vacci da solo, se ci hai da fare. io ti aspetto qui.
– E via! – riprese quegli – andiamo: mi hai accompagnato finora…-
L’associato varcò il muretto pure lui, e si avviarono costeggiando il pendio verso la direzione indicata. Ma come si avvicinarono alla quercia, si ricordò che di là, a pochi passi, c’era un precipizio; e gli venne il sospetto che l’invitante con quelle blandizie gli stesse ordendo un tranello. E si fermò di botto.
L’uomo del sogno cercò di convincerlo a fare altri cinquanta o sessanta passi che li separavano dalla quercia, per poi svoltare su e tornare verso il Paese; e, poicchè era irremovibile, lo prese garbatamente a braccetto per farcelo giungere alla buona.
Ma quegli vieppiù insospettito, dette uno strappo e si liberò della presa. L’altro, vedendo che l’impresa andava alla malora, lo riafferro stretto al braccio, alle vesti e dove poteva, tirandolo verso la quercia. Ne seguiva un tira e molla ognuno dalla sua parte, e caddero a terra voltolando nel rovo, menando pugni, stracciandosi le vesti, scalciando, graffiandosi…
Quando l’uomo del sogno, dopo aversi preso tanti pugni, calci e graffi, aveva perso la speranza di condurre a termine l’impresa, si rizzò in piedi indignato e sbottò:
– Vedi! – indicando la pianta – in quella quercia mi hanno dato uno scusorgiu con te. Ora ti c’impicchi! ormai è perduto!
– Oh Dio! – fece l’altro – pensavo che tu mi volessi spingere in quel precipizio.
E corsero insieme a vedere, sperando che facessero in tempo a prendere il tesoro ancora buono. Ma quando vi giunsero l’ampio cavo della quercia era pieno di carbone, che pareva estratto allora dalla carbonaia!
Lo guardarono stupiti; si guardarono in faccia commiserevoli; poi palparono entrambi fino in fondo. Niente da fare: era tutto carbone!
L’associato, lamentandosi – Colpa mia! Colpa mia! – si cacciava le mani nei capelli, si tirava gli orecchi e si dava delle botte in faccia…
Ma l’altro poi lo trattenne, dicendo:
– E’ il Diavolo che ci ha messo lo zampino!
E presero la via del ritorno sconsolati, laceri e graffiati mogi mogi verso il Paese.
Da: Come nasce un diavolo – Giovanni Moi