Lei è Pasca Piredda.
Nuorese di una famiglia molto conosciuta. Sua madre è cugina di Grazia Deledda, Sebastiano Satta era di casa, suo zio Franceschino Pintore, medico dei poveri, sarà uno dei primi sindaci democratici di Nuoro. Franceschino è comunista, la famiglia Piredda è antifascista e amica e ospite di antifascisti, da Emilio Lussu a Mario Berlinguer.
Pasca fa eccezione.
Già da ragazza è una fascista entusiasta. Verso la seconda metà degli anni Trenta, mentre frequenta le magistrali, fa un compito di mistica fascista che attira l’attenzione di Fernando Mezzasoma, ministro della cultura popolare.
Sulla soglia dei novant’anni così ricordava con coinvolgente nostalgia quei giorni: «Frequentavo la scuola media. A quell’epoca ero ”Giovane italiana” dopo essere stata “Piccola italiana” alle elementari. In seguito all’Università diventerò giovane universitaria fascista e, infine, entrerò e far parte del famoso GUF. Mi ricordo che da ragazzina alle scuole elementari allora l’insegnante, don Sannio. era obbligato a leggere i discorsi di Mussolini. Lui però era un sostenitore del Partito Sardo d’Azione, un sardista convinto e di conseguenza contrario al fascismo: quindi potete immaginare come ci riportava i discorsi del Duce.
Cercava sempre di sbrigarsi e tentava in tutti i modi di non farci capire nulla leggendo svelto svelto. Devo ammettere – commentava – che in parte è stato proprio questo suo modo di agire ad avermi incuriosito a interessarmi di politica. In quelle occasioni io, un poco dispettosa, gli chiedevo di ripetere, e lui con grande sforzo – si vedeva chiaramente come stesse soffrendo – ricominciava ancora una volta con le parole di Mussolini. Mi accontentava sempre: cioè, era costretto ad accontentarmi ma i suoi occhi diventavano feroci ed esprimevano tutta la propria disapprovazione, dicendomi quanto poco bene mi volesse in quei giorni».
Proiettata in seguito nella Roma fascista, la giovane Pasca alla scuola del partito frequentò dal 1940 al 1942 i centri, dove si formavano i funzionari dello Stato. La formazione scolastica gli valse l’incarico di Assistente sociale per le operaie e massaie rurali, con particolare indirizzo verso l’economia domestica, visto il particolare periodo di autarchia che il Paese allora attraversava.
Il gerarca fascista la chiama a Roma, dove frequenta un collegio del partito che forma assistenti sociali e dirigenti specializzate nei problemi femminili.
C’è già la guerra, ma Pasca gira per le campagne romane insegnando alle ‘massaie rurali” i rudimenti dell’igiene, e intanto si laurea, alla ‘Sapienza”, in Scienze politiche e poi in Scienze coloniali.
Glielo ha consigliato Mezzasoma, per il quale fa qualche lavoro di segreteria, scrive discorsi e lettere, corregge bozze.
La stima di Mezzasoma per lei è cosi radicata che quando, a metà settembre dello sciagurato 1943, Mussolini ‘inventa” la Repubblica sociale italiana e richiama Mezzasoma al ministero della cultura popolare, questi la invita a seguirlo al Nord.
Pasca non si pensa più di tanto. E li, a Salò, comincia la parte più avventurosa della sua vita.
Due marò della Decima (tra cui la medaglia d’oro Mario Arillo), stufi farsi dire no da Mezzasoma, che rifiutava di mandare in onda alla radio i loro comunicati di propaganda, la «rapirono» e la portarono in macchina a La Spezia, dove il principe Junio Valerio Borghese si era asserragliato dopo avere rifiutato sia di salpare per consegnare la sua flotta di Mas e altri mezzi navali agli Alleati, sia di arrendersi ai tedeschi, con i quali, invece, aveva stipulato un singolare patto di alleanza: da pari a pari. Il che aveva entusiasmato la gioventù di mezza Italia che faceva a pugni per arruolarsi volontaria nella Decima.
Che significava: né serva degli americani, né serva dei tedeschi.
Appena arrivati telegrafano a Mezzasoma: «Abbiamo arruolato nella Decima Flottiglia Mas Pasca Piredda con l’incarico di capoufficio stampa e propaganda».
Con Mezzasoma è stata soltanto poco più d’un mese, resterà agli ordini di Borghese sino alla caduta della repubblica di Salò.
E’ la prima donna che entra nella Decima.
Tra gli altri, ci sarà il problema di darle una collocazione ufficiale. Borghese le assegna il grado di sottotenente di vascello, e il relativo stipendio (mille lire, che è un ottavo dello stipendio che prendeva al ministero).
Questa vicenda fuori dell’ordinario e quelle che seguiranno sono raccontate in un libro-intervista, «La ragazza della ‘Decima“», prefazione di Luciano Garibaldi, edito da Delfino (180 pagine, 24 euro).
Il volume viene presentato oggi a Nuoro, alle 17,30 dell’auditorium della Satta, dall’avvocato Bruno Bagedda e da Federica Debè, figlia di Pasca Piredda.
Il sottotitolo del libro, «Una giovane nuorese nella bufera della guerra civile», riassume bene tutto il resto.
Pasca entrò subito nel ruolo. Borghese non era fascista, meno che mai filonazista. Gli intransigenti della RSI lo guardavano storto. E Pasca teneva loro testa con i suoi articoli sul dirompente giornale della Decima, «La Cambusa», da lei fondato e diretto con pochi ma validissimi collaboratori tra cui Ugo Franzolin. Giornale davvero libero e anticonformista, così come lo erano le migliaia di manifesti di propaganda che l’ufficio diretto da Pasca diffondeva a getto continuo, con i bellissimi disegni di Boccasile.
Partecipava attivamente alle azioni sul territorio: viaggi verso la Venezia Giulia (dove Borghese, in pieno accordo con i partigiani monarchici della «Osoppo» e con gli agenti del Sud, organizzava la resistenza contro il 9° Corpus di Tito), scontri a fuoco, incontri con gli agenti segreti di De Courten. Per causa di un incidente d’auto, rimase gravemente ferita e restò in coma per tre giorni.
Al 25 aprile, mentre la Decima si arrende agli Alleati che le concedono l’onore delle armi, Pasca, trovata in un elenco di nominativi di ufficiali della Decima consegnato per errore ai partigiani e subito scoperta, viene condotta a San Vittore.
Fu strappata al plotone d’esecuzione per l’intervento del «capitano Neri», l’uomo che aveva avuto un ruolo determinante nella fine di Mussolini. «Neri» (al secolo Luigi Canali) era infatti il capo di Stato Maggiore della 52.a Brigata «Garibaldi», che aveva catturato Mussolini e i ministri di Salò, con il loro seguito, sulla strada del lago di Como, in prossimità di Dongo.
Lo stesso «Neri» aveva deciso di ospitare il Duce e Claretta Petacci nella casa dei contadini De Maria, a Bonzanigo, nei pressi di Menaggio.
Dopodiché aveva avvertito i «servizi» inglesi, per consentire loro di catturare Mussolini precedendo così gli americani, con i quali erano in concorrenza.
Ma nessuno poteva sapere che gli agenti britannici avevano un ordine segreto e terribile: far tacere per sempre Mussolini, che avrebbe potuto – se catturato dagli americani – svelare gli accordi segreti intercorsi tra lui e Churchill per spingere Hitler a cessare la resistenza in Occidente onde rivolgersi tutti contro il pericolo in avanzata da Oriente, cioè l’Armata Rossa. Per questo Mussolini (e Claretta, che sapeva tutto) furono uccisi la mattina del 28 aprile 1945. E per questo sarà soppresso anche «Neri», a titolo di punizione, per ordine del Pci.
Dopo un altro mese passato in cella a San Vittore, Pasca è processata e assolta per insufficienza di prove.
Ma non viene liberata: deve subire una serie di trasferimenti da un campo di concentramento all’altro finché, mentre viaggia verso Taranto guardata a vista da due carabinieri, improvvisamente viene fatta scendere alla stazione di Civitavecchia.
Qui l’aspetta lo zio Franceschino. Le fa poche feste, ma la riporta a casa.
Nuoro non l’accoglie a braccia aperte: le strade della città sono tappezzate di manifesti che dicono: «Tornano gli assassini». Su consiglio del prefetto il padre la manderà a «villeggiare» sull’Ortobene. Quando finalmente potrà tornare a Roma sarà di nuovo a fianco di Borghese nel lungo processo che il «comandante» subirà fra il 1945 e il 1949.
L’autrice non ha potuto vedere il suo libro: è morta a Roma all’inizio del 2009.
La parte più importante del volume sono le prime cento pagine, dove Pasca racconta la sua storia sotto forma di intervista. Nelle altre rievoca fatti di quel periodo e uomini della Decima. Qualunque possa essere il giudizio su questa esperienza umana assolutamente originale, la lettura è sempre accattivante e ogni pagina ricca di sorprese, quasi come un romanzo. Anzi, di più.
Era non soltanto una donna che aveva fatto la storia, ma anche una autentica e validissima scrittrice di storia, come dimostra il suo libro «L’Ufficio Stampa e Propaganda della X Flottiglia Mas», pubblicato nel 2003 dalla Casa editrice Lo Scarabeo di Bologna.
Leggendo il suo libro, tutti capirono finalmente che cosa fu la Decima del principe Junio Valerio Borghese, quei 30 mila marò che combatterono contro tutti: contro gli Alleati, contro i tedeschi, contro i comunisti di Tito.
Tutti capirono che era esistita, che poteva esistere (che potrebbe sempre esistere) un’altra Italia.