Tutte le feste popolari dei nostri villaggi, su per giù, si rassomigliano; però molte di esse hanno certe originalità che le distinguono fra le altre.
Peccato ch’ esse siano oramai generalmente in decadenza, e la nota tipica, veramente isolana, ceda, poco alla volta, il posto alle esigenze della civiltà.
Peccato; perchè così, col tempo, andranno a dileguare le ultime manifestazioni tradizionali del nostro popolo così caratteristico, e con esse verrà meno tanta materia alla osservazione dello studioso.
Io m’ auguro perciò che i nostri letterati ritraggano, ora, che ne è tempo, le più spiccate ed originali costumanze dei nostri paesi.
Io concorrerò modestamente a quest’opera; e, tanto per incominciare, parlerò anzitutto della « zucca di San
Raimondo ».
Non credano i numerosi e cortesi lettori ch’io voglia parlare d’una zucca qualsiasi, pelata o meno, d’una di quelle che spesso appariscono lisce e lucenti sotto i raggi benefici del sole estivo o tra i bagliori vivissimi della luce elettrica; no: la zucca di San Raimondo è una vera cucurbitacea maturata nelle convalli fertilissime del Goceano nostro, ai calori del solleone ed a maggior gloria delle nostre montagne.
Raimondo è un santo molto popolare nella patria d’Angioy, dove, ogni anno, ai 31 d’agosto, viene festeggiato con una solennità speciale.
In quel giorno, tutti, possibilmente,- gli abitanti di Bono in Sardegna – e sono quasi quattromila – si trovano all’ora del mattutino, sulla piazza centrale del paese.
La classica, la fenomenale zucca, spessa di un diametro superiore ad un metro, è già collocata su d’ un carro ad hoc, tra ghirlande di rose e di alloro, festoni di ellera e banderuole multicolori; ed i buoi aggiogati al carro – i migliori del paese – inghirlandati anch’ essi di pervinche fiorite, volgono attorno i grandi occhi mestamente, ruminando forse, oltre la biada non per anco digerita, qualche considerazione di circostanza.
Si forma il corteo: procede innanzi una lunga schiera di cavalieri caracollanti sui migliori cavalli bardati a festa; segue il carro, vero carro trionfale, con su troneggiante la zucca immane; vengono appresso le confraternite del paese, con i labari religiosi ed i rispettivi cappellani in càmice e stola; indi il popolo festante.
Le campane della secolare parrocchia e di molte altre chiese suonano a distesa, mentre quella strana
processione che ha del cattolico e del pagano insieme, procede tra il brio del popolo e le salmodie dei religiosi, per la lunga e tortuosa via che, attraverso il villaggio, va a raggiungere una collina elevata sulla quale, dominante il popolato e tutta la valle alta del Tirso, è la chiesa del Santo.
Ivi la colossale zucca è collocata su d’ un piedestallo, nel punto più bello della spianata, di fronte alla strada che vi adduce ; e mentre le confraternite si raccolgono dentro la chiesa a compiere il rito, e, del popolo, parte vi assiste, parte si indugia sotto le tende dei liquoristi e dei pasticcieri, o si raccoglie a gruppi sotto gli ulivi
che rivestono la collina ad assaporare l’accreditato bianco torrone di Pattada inaffiandolo con qualche calice di insuperabile vino d’Oliena, i cavalieri corrono intorno alla chiesa s’ àrdia, una specie di palio alla rinfusa, in onore del Santo.
Descrivere tutta la festa, co’ suoi balli popolari, le luminarie, ecc., sarebbe troppo lungo; eppoi io mi son proposto di ritrarre di questa festa i tratti più originali, epperciò dirò soltanto che nel pomeriggio di quel giorno, il popolo assiste in massa al vero palio, nel quale sono messi alla prova i destrieri famosi per molte corse nelle feste isolane; ed all’arrivo dei corridori, tra gli applausi del popolo giubilante, e prima che
vengano premiati i vincitori, è presa la fenomenale zucca e scaraventata verso l’ultimo cavallo arrivato nella corsa; e dopo che la innocente cucurbitacea si è spezzata in cento parti rotolando giù per la discesa della collina, la festa può dirsi virtualmente terminata.
Or, qual’ è l’origine di questa strana, originalissima usanza popolare? Parrebbe, a prima vista, eh’ essa debba riallacciarsi per una millenaria tradizione, a qualche fatto umano primordiale, a qualche mito.
Eppure niente di tutto ciò.
Io ho chiesto alle persone più attempate di Bono in Sardegna la ragione di quella festa, e tutte mi hanno risposto che essa non è altro, indovinate un po’, che una dimostrazione politica; e che appena secolare ne è l’origine.
Eccovi in poche parole come sarebbe andata la faccenda.
Si era ai tempi del nostro Angioy, all’ epoca della rivoluzione per l’abolizione dei feudi in Sardegna.
Bono, ribelle agli ordini viceregi anche dopo la disastrosa ritirata di Oristano, fu designalo capro espiatorio della insurrezione, siccome patria di quel generoso che l’aveva iniziata, e come Ilio, fu combusto, ma non domo, nel 29 di agosto 1796.
Sulla collina di San Raimondo erano stati collocati i cannoni che lo bombardarono, e Pintor-Sirigu, capo delle milizie feudali, aveva già dato il sacco al paese; allorché nella notte successiva, mentre egli si era abbandonato all’orgia co’ suoi, fu attaccalo dagli abitanti, che aveano ripiegato dinanzi alla sua ferocia ritirandosi sul versante alto di monte Rasu: fu attaccato e messo in rotta, con la perdita del bottino e dei cannoni, vergognosamente.
Ed il popolo, ad eternare il ricordo di tale avvenimento, instituì la « festa della zucca ».
Sassari.
Cocco Solinas
Per informazioni: https://www.comune.bono.ss.it/index.php/vivere/cultura/17