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L’energia del cosmo passa di qui

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A Paulilàtino, nel complesso nuragico di Santa Cristina, sorge un misterioso pozzo legato ai poteri dell’acqua e ai segreti del cielo

Visto dall’alto ricorda una toppa di chiave che potrebbe alludere all’organo generatore della Dea Madre. Il pozzo sacro di Santa Cristina sorge all’interno dell’omonimo complesso nuragico di Paulilàtino che racchiude numerose testimonianze di un’epoca lontana; prende il nome da una chiesa inclusa nell’area, un antico luogo di culto circondato dai muristenes, cioè le dimore dei fedeli durante novene e pellegrinaggi.
Fra le testimonianze del complesso, è particolarmente significativo il pozzo sacro, uno dei più importanti della civiltà nuragica. In Sardegna se ne contano circa quaranta.

Sfiorato dalla statale 131 (al km 115 per chi arriva da Sassari e al km 114 per chi proviene da Cagliari), il sito archeologico è gestito con entusiasmo e professionalità dalla Cooperativa Archeotour e conta in un anno circa cinquantamila visitatori. A richiamare la loro attenzione è soprattutto il mistero e la magia del pozzo, interessante per l’accuratezza della costruzione del X secolo a.C., per la magnifica scalinata e la volta a tholos (cupola interrata), in pietre ben lavorate.
Attorno al monumento ci sono i resti di numerose capanne che venivano utilizzate come dimore temporanee, esatti corrispondenti di quelle attuali che si trovano
intorno alla vicina chiesa. Il tempio era consacrato alla divinità dell’acqua sempre associata alla luna, simbolo del passaggio dalla vita alla morte e dalla morte alla vita. Sin dall’antichità il pozzo aveva significati di natura magica: oltre che raccogliere l’acqua, racchiudeva una serie di simboli e diventava il luogo in cui si potevano compiere riti di purificazione.
Ma può essere anche uno strumento per collegare l’uomo alla terra. Dalla scalinata centrale si accede alla stanza in profondità, dove si raccoglie l’acqua che secondo le popolazioni nuragiche aveva poteri terapeutici: alcuni studiosi sostengono che la divinità dimorasse nell’acqua e che qui si svolgessero particolari cerimonie sempre legate all’acqua. Sul pozzo di Santa Cristina e i suoi significati è fiorito uno studio guidato da Mauro Aresu, che a Palau, in Gallura, ha fondato l’associazione Uomo terra energia (oggi conta un centinaio di soci).
L’attenzione di questo gruppo di studiosi si è soffermata, in particolare, sul simbolismo cosmico e le energie sottili: “Il pozzo”, spiega Aresu, “aveva anche un’importante funzione astronomica; di recente è stato interpretato come oggetto costruito allo scopo di fornire una soluzione geometrica ad alcuni problemi
astronomici in qualche modo legati ai riti religiosi e con esigenze cronologiche legate al moto della luna
”.

Il tempio contiene, però, una più complessa ideologia.
Aresu sostiene che la sua architettura sia sacra e simbolica. In altre parole, va considerato un riflesso del mondo divino, la copia terrestre di un archetipo celeste e di un’immagine cosmica. “La scala, che mette in relazione il mondo esterno, quello degli uomini, e il regno sotterraneo delle acque”, dice Mauro Aresu, “è luogo di passaggio e della discesa, ma anche della risalita e, per questo, via di comunicazione a doppio senso, ascendente e discendente. Il passaggio deve avvenire per gradi e gli scalini segnano le gerarchie: ciascuno equivale a un livello. La scala porta all’acqua che nasce dalla terra, simbolo di fecondità e l’acqua è sorgente di vita e centro di purificazione. Per questo motivo le immersioni, le abluzioni e le aspersioni avevano la funzione fondamentale della rigenerazione dei fedeli”.
Il cammino spirituale iniziava all’esterno, nel vestibolo, dove si praticavano le funzioni religiose. Attraverso la scala, secondo Aresu, si scendeva al centro, nell’utero della Grande Madre e poi dal centro del pozzo si tendeva verso l’alto e attraverso la cupola interrata, tholos, e il suo lucernario si usciva verso la via degli dei, verso quella divinità che aveva mandato la propria emanazione dal cielo.

Il pozzo di Santa Cristina rappresenta una raffigurazione cosmologica dell’antichità in cui, secondo Mauro Aresu, “emerge e arriva alla ribalta una conoscenza
senza eguali. Durante l’equinozio di primavera o d’autunno, quando il sole si eleva, si possono scorgere rappresentazioni simboliche stupefacenti
”. Nel marzo di cinque anni fa l’associazione Uomo terra energia ha fatto una singolare scoperta: sulla parete interna del pozzo ha individuato la proiezione dell’ombra di un uomo capovolta. E a proposito di siti megalitici, Pranu Muttedu, a Goni (piccolo centro del Gerrei nella zona sudorientale dell’Isola), ospita uno fra i più interessanti complessi della Sardegna, una necropoli e un’area di culto. La località occupa un’ampio spazio e comprende numerose tombe di diversa tipologia, circoli di pietra, grandi menhir, pietre con coppelle scavate. Le più importanti e caratteristiche testimonianze del Parco archeologico sono le tombe “a circolo”: sono vasti tumuli composti da massi affiancati e sistemati in filari concentrici, che dovevano servire da contenimento per la copertura. Tra queste tipologie, sicuramente
la più interessante è quella della Tomba II. L’ingresso e le celle sono scavati in due grandi massi d’arenaria trasportati da lontano. La tomba II è il polo principale dell’area sacrale funeraria; possiede un diametro di circa quattordici metri, è composta da tre paramenti concentrici in pietra, intorno a uno spazio interno diviso in quattro. Parte integrante della tomba II è il recinto megalitico, che delimita una vasta area con funzioni di spazio sacrale per i riti funerari. All’interno del recinto sta un circolo che serviva come ripiano per ospitare i riti preliminari della sepoltura.
Si possono individuare tombe mono e bicellulari, con planimetria tipica di quelle ipogeiche, precedute da corridoi con struttura a dolmen, cavità di forma quadrangolare adatte a sepolture singole che ospitavano corpi in posizione rannicchiata. Altrettanto importante, all’interno Parco archeologico di Pranu Muttedu, la presenza di una cinquantina di menhir, detti in sardo perdas fittas o perdas longas. Accanto a un ricco complesso tombale del III millennio a.C. si possono ammirare le “pietre fitte”, una ventina delle quali alte fino a circa due metri, allineate lungo l’asse est-ovest, in apparente riferimento, quindi, al corso celeste del sole.

Tratto da Magica Sardegna  Maggio 2007