Uno degli esseri fantastici della Sardegna, un vero demone burlone, prende il nome di Maschinganna, o su Ingannadore.
Una delle leggende relative a questo essere soprannaturale ci viene raccontata da Pasquale Demurtas nel suo libro “[amazon_textlink asin=’8892663054′ text=’Sardegna paranormale’ template=’ProductLink’ store=’testo_art-21′ marketplace=’IT’ link_id=’9a2ae06a-6cae-11e7-bfa6-2fd99ea3b477′]“. Buona lettura e attenzione a Maschinganna!!!
Questo racconto narra le gesta di un diavolo mascalzone, noto nella nostra cultura con il nome di Maschinganna. Questo suo nomignolo denota il suo carattere burlone. Ha il potere di trasformarsi in animale, cose o esseri umani ed è perfino dotato del dono dell’ubiquità.
Vive nelle campagne e, proprio per questo, l’oggetto dei suoi scherzi sono i pastori, gli agricoltori e le persone di passaggio. Si tiene ben lontano dai centri abitati o dalle chiese campestri, in
quanto i simboli della cristianità – croci, cimiteri e così via – gli impediscono di entrare.
Alla presenza di un luogo sacro o benedetto egli sparisce in una bolla di fumo e non può far rientro sulla terra per trentatrè anni.
Un giorno, di buon mattino, un signore di nome Giuseppe, si mise in viaggio per raggiungere il proprio podere, accompagnato dal figlio Federico.
Lungo il sentiero incontrarono una donna che, dando le spalle ai due uomini, era intenta a raccogliere delle margherite. I due tirarono le briglie e rivolgendosi con garbo, domandarono:
“Gentile fanciulla, che fate qui a quest’ora del mattino?”
La giovane si voltò lentamente, mentre i due trepidanti, cercavano di scrutarne il viso.
Loro malgrado, l’immagine che ebbero dinanzi agli occhi era tutto fuorché celestiale, ben diversa da quella che la fantasia da uomini aveva loro suggerito.
Il mento prolungato sino al petto, orecchie appuntite, una pelle rugosa e due occhi che al sol guardarli incutevano spavento.
I muli iniziarono a trottare come forsennati, spronati dalle grida e dalla frusta.
Percorsi circa seicento metri si voltarono, ma nel lungo rettilineo non c’era più traccia della signora.
Terrorizzato, Federico chiese che cosa fosse ciò che avevano visto. Il padre, sapendo dai racconti degli avi dell’esistenza di Maschinganna, disse al figlio di non preoccuparsi e di fare il segno della croce, in modo che quella “cosa” non tornasse più.
Continuarono il loro tragitto serenamente e senza intoppi. Giunti nella campagna, munsero il bestiame.
Qualche ora più tardi, Giuseppe disse a Federico: “Raggiungo il paese per portare il latte da versare, tu aspettami qui e controlla il gregge. Tra un paio d’ore sarò di ritorno”.
Egli come da ordini, si diresse verso la roccia in cui era solito sostare. Da quell’altezza aveva la possibilità di controllare tutto il terreno.
Man mano che avanzava verso il grosso masso, gli parve di udire un gemito di fanciullo, sempre più nitido. Incuriosito, si avvicinò e vide un giovanotto
sui quindici anni che piangeva rannicchiato su se stesso.
Gli chiese: “Che ci fai tu qui? E perché piangi?”
“Mi sono perso da due notti e sento un gran freddo.”
“Come perso? Da dove vieni? Comunque non c’è tanto freddo, la primavera è alle porte.”
“Vengo da Torralba. Devo aver preso qualche malanno a furia di girovagare per i campi senza meta.”
“Va bene, segui me, hai bisogno di calore e riposo”.
Il giovanotto seguì Federico, il quale, una volta arrivato all’interno dell’umile dimora, si accinse ad accendere il fuoco nel camino.
Vedendo i piedi del ragazzo, avvolti con delle bende e dei lacci annodati malamente a una suola di cuoio, disse: “Siediti qui, ti porto delle coperte e dei cambi. Nel frattempo levati anche quegli stracci che hai nei piedi, ti presterò degli scarponi nuovi che abbiamo qui come riserva.”
“No! No! Una coperta è più che sufficiente”, rispose il ragazzo.
Un po’ perplesso, esaudì la sua richiesta.
Trascorsero un po’ di tempo a chiacchierare del più e del meno. Ad un tratto Federico si affacciò alla finestra, per controllare il bestiame e notò gli animali correre alla rinfusa. Ogni pecora fuggiva in direzione opposta all’altra, cosa assai inconsueta per un gregge.
Il padre, di rientro dal paese gli domandò come mai ci fosse tutto quel disordine, ma non sapendo rispondere alla domanda, cambiò argomento, invitandolo a presentarsi all’ospite.
Così, Giuseppe vide vicino al fuoco il giovanotto infreddolito e rannicchiato. In silenzio ascoltò il racconto del figlio: “Era qui, dietro la grande roccia. Si è perso e gli ho proposto di venire dentro casa a riposare, ha rischiato di prendersi un brutto malanno, poverino. Gli ho detto anche di cambiarsi le scarpe, ma non ha voluto sentir ragioni”.
Quando udì quest’ultima frase, esclamò: “I piedi!”
Si gettò di corsa sullo straniero, gli tolse le bende e come sospettava, vide due zampe con due zoccoli d’alce.
“Lurido animalaccio, re dell’inganno, vai via da questa casa!”, urlò.
Maschinganna, ormai scoperto, uscì fuori dalla finestra con un formidabile zompo, spaccando il vetro si mise in fuga per le campagne.
“Hai visto Federico? Mai fidarsi di chi pare mansueto nel tuo terreno. Se vedi qualcuno nella tua proprietà non sempre ha buone intenzioni! E poi, i piedi! Controlla i piedi! Questo diavolo si riconosce dalle zampe che tende sempre a nascondere.”
Il piccolo, a capo chino, si scusò ripetutamente col padre e, ancora spaventato, uscì e vide il gregge nuovamente compatto e ordinato che brucava l’erba.
Gli animali avevano assunto questo strano atteggiamento perché avevano avvertito la presenza malefica. Spiegò ancora al figlio come questo fosse del tutto normale e come lui stesso, da ragazzo, si
fosse trovato coinvolto in questi strani episodi.
Nei giorni a seguire Federico ebbe una febbre tremenda. Si diceva che questo sintomo fosse conseguente all’incontro col diavoletto capriccioso.
Giuseppe decise di recarsi presso un laghetto dove era certo di trovare un’erba benefica che, se imbevuta nel vino e consumata prima di aver recitato delle preghiere, avrebbe scacciato via il malanno.
Arrivato a destinazione, vide un signore in abito elegante con delle brocche, dedito a raccogliere del terriccio umido. Pensò alla stranezza della cosa e subito capì che si trattava dell’ingannatore. Si
assicurò per prima cosa di raccogliere quanto gli serviva e una volta legato il fascio, lo pose con cura sopra il carro.
In gran silenzio, prese un grosso sacco e una corda con un lazzo. Fece girare quest’ultima per qualche secondo nell’aria e afferrò per le gambe il signore, trascinandolo fino al paese.
Lo portò fin su un cocuzzolo sul quale si erge maestosa una croce, in prossimità del cimitero. Lo legò e recitò alcune preghiere.
A poco a poco il corpo del muto signore sparì diventando cenere, dalle zampe fino alla testa.
Si consumava lentamente quasi fosse un mozzicone acceso.
Il ghigno beffardo e maligno lentamente spariva, emanando una grande puzza di zolfo, sparendo in una bolla di fumo.
Per i trentatrè anni a seguire, il territorio sarebbe stato al sicuro.
Di ritorno, notò con allegria come il figlio, senza bisogno di cure alcune, fosse guarito, e felice giocava con gli amici per le vie del circondario.
All’ora di cena la famiglia era nuovamente riunita attorno al focolare e i due raccontarono le disavventure della giornata alla signora di casa.
Finì tutto con una grande risata, grande quanto lo spavento che Maschinganna aveva procurato.
Pasquale Demurtas
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Vedi anche: Esseri fantastici della Sardegna