Pasquale Tanteddu era nato ad Orgosolo nel 1926. Fin dal 1949 fu un fuorilegge. Condannato in contumacia dalla Corte di assise di Cagliari per i massacri di Villagrande e “sa verula”, imputato dell’omicidio di sei carabinieri, tentato omicidio di altri nove carabinieri, due rapine, associazione a delinquere, ecc.
Venne assolto, sempre in contumacia, dall’accusa di omicidio nelle persone di Niccolò, Giovanni e Antonio Taras, ritenuti confidenti della polizia. La taglia, pagata nel 1954, per la sua cattura, fu di cinque milioni di lire. Tandeddu, viene descritto come un “bandito molto popolare” a Orgosolo, perché è opinione generale che egli, a differenza, per esempio, di Salvatore Giuliano, non ha mai commesso delitti contro i “poveri” e non ha mai voluto diventare servo dei “padroni”.
Caro Cagnetta,
informatomi del tuo soggiorno ad Orgosolo per denunciare alla opinione pubblica tramite la stampa la nostra tragica situazione, non essendo possibile farmi intervistare personalmente da te, per evitare qualche spiata o simili grattacapi, mi faccio scrivere da altri, non sapendo purtroppo neppure firmare, e ti indirizzo la presente lettera al fine di chiarire tutte le menzogne che ripetutamente vengono inserite nelle colonne di giornali, che non ho visto un giornalista, buffoni! e che circolano nella bocca di tanti sfaccendati, che cianciano approfittando della mia triste condizione di fuorilegge analfabeta.
Anzitutto voglio che tu dia bella forma letteraria e corretta ai fatti che mi appresso di sottolineare.
Voglio partire dalle prime persecuzioni.
La prima volta venni accusato di rissa, avevo sedici anni ed ero servo pastore. Mentre eravamo nell’ovile un compagno non so per quale pretesa abusando delle forze mi trascinò alle gambe in mezzo la stanza: essendomi trovato col coltello in mano al fine di impaurirlo e lasciarmi andare, mossi la mano e come s’è spostato, la punta del coltello gli bucò la schiena. Venni arrestato, ed assolto dopo sei mesi di carcere dal Tribunale dei minorenni di Cagliari.
Nel 1945 fui accusato di un furto di cavalli da un altro ragazzo che dopo le torture subite dai carabinieri fu costretto a fare il mio nome e di un altro compagno.
Nel 1947 mentre nella Corte di Nuoro assistevo a un dibattito mi vidi preso all’improvviso a spintoni da un carabiniere, col supposito che facevo bordello. Cercai di insistere, dicendo che ero abbastanza calmo, vistomi insistere il carabiniere si avventò addosso. Fui acciuffato allora da un nugolo di poliziotti che mi tradussero alle carceri. Accusato del reato di oltraggio e violenza, dopo quattro mesi di carcere, fui condannato a quattordici mesi di reclusione.
Espiata la pena lavoravo in casa con un branco di pecore di nostra proprietà e curavo l’annaffiatura di qualche orto col mio fratello più grande Pietro. Lui aveva fatto il partigiano, aveva capita la vera situazione dello sfruttamento e oppressione dei ricchi contro a noi, poveri. Ed il fatto di essere tali fece andare in bestia i proprietari, come le spie, del paese. E nel 1949 siamo stati ricercati solo per questo io e mio fratello al confino di polizia. Abbiamo cercato di sfuggire perché sapevamo di essere innocenti. Ma vistici uccel di bosco i mariscialli, spalleggiati dai ricchi, cercarono di imputarci ogni reato che allora succedeva.
Il più fedele “beneamino” fu il maresciallo Loddo, che ad Orgosolo per due o tre anni ebbe pieni poteri di fare il santo Inquisitore, confinando tutti quelli che manifestavano di sottrarsi al suo giogo e minacciando il confino ai pregiudicati senza carattere e pagandoli per collaborare con loro. Fecero tante montature criminali fino a giungere alla famosa strage di “sa verula” dove perdettero la vita tutti quei poveri carabinieri che forse ignoravano i folli piani dei mariscialli Loddo, Ricciu e Serra, i capi Inquisitori del Nuorese. E come per ogni altra strage vennero accusati i fratelli Tanteddu.
Ed anche se tutti gli altri capi di accusa attribuitimi da Loddo in numero di una diecina mi furono liberati dai giudizii, per quest’ultima, in base ad un accusatore il più infame che la storia della Sardegna ricordi, il famigerato Mereu Sebastiano, degno servo dei Mariscialli assetati d’ingiustizia e disordine, fui colpito all’ergastolo per ricevere il premio della “benemerita” dal sicario siciliano Mario Scelba (come lo ha dato a Luca dopo che hanno ucciso a tradimento il loro caro amico e massacratore di lavoratori, Salvatore Giuliano).
Questo infame confidente, che riuscì di incriminare tanti onesti cittadini, disse di avermi riconosciuto di una foto che avevo fatto in gruppo quando ero ragazzo, e in una occasione che ero malato di febbre perniciosa deperito al punto che nessun orgosolese riusciva a conoscermi. Mi meraviglio come i Giudici abbiano voluto dare credito a un elemento così sfondato, e spero che si possa fare giustizia nell’Appello.
Sia per “sa verula” che per Villagrande perché sono innocente e non voglio scontare colpe infamemente attribuitemi.
Ed è proprio dall’agire sporco del metodo vile e criminoso dei carabinieri che il paese vive in un conflitto muto e terroristico. E per ogni delitto cercano di fare il mio nome.
Infatti la cosiddetta polizia, che non sta facendo altro che “sporchizia”, cerca di braccarmi con tutti i mezzi. E non potendo prendere a me se la prende con i miei parenti. Forse credono che dopo aver arrestato mio fratello, un ragazzo incensurato dedito alla custodia del gregge, la mia sorella, che dopo la morte della mia povera Madre rimase sola in casa, e il mio povero Babbo, un uomo vecchio e paralitico, che io possa essere indotto a presentarmi.
O pure se fossi – e non lo sono – un criminale, vedendo tante ingiustizie diventassi un agnello.
La prova che non sono un assassino è data dal fatto che se lo fossi, per ciò che mi viene fatto dovrei uccidere ogni giorno almeno dieci poliziotti, o sia di quella ridicola marmaglia che Scelba ha mandato nelle nostre campagne, che chiedono bonifica, tecnica, trattore e non poliziotti, mitrie e spie. Che se non sarò proprio destinato a morire non mi prenderanno mai neanche se ne mettono diecimila.
Abborisco la vita del latitante, ma per galera preferisco cento volte la morte. Soffro molto alla testa se mi chiudono, e allora certo morirei.
L’unico mio desiderio è di vedere abolito il confino, le taglie, la disoccupazione, lo sfruttamento dei lavoratori e vedere così il nostro martoriato paese in via di pace serena e di civile progresso
Pasquale Tanteddu