Non è stato semplice ricostruire la biografia di Peppinu Mereu: i dati che risultano dagli scritti del dottor Nanni Sulis, che l’ha conosciuto e di lui è stato grande amico, non bastano a darci un quadro della sua vita.
Disponiamo solo di testimonianze orali, per cui non pretendiamo di fare un lavoro esauriente. Ciò che abbiamo ritenuto opportuno fare è stato vagliare accuratamente le testimonianze raccolte. Molte di queste non sono state utilizzate quando si è avuto timore di modificazioni operate dalla fantasia popolare.
Le notizie certe riguardano la data di nascita, di morte, il servizio prestato come carabiniere e quello prestato come scrivano presso il Comune di Tonara.
Dubbia è la causa della sua morte: le fonti più attendibili parlano di diabete. Certamente anche la sua produzione poetica è stata molto più vasta di quella a nostra disposizione. Molte poesie, infatti, furono distrutte dallo stesso Mereu quando, nell’ultimo inverno della sua vita, utilizzò quei fogli per accendere il fuoco; altre furono distrutte, alla sua morte, da persone che non ne condividevano il contenuto.
Mereu Giuseppe nacque a Tonara il 14 gennaio 1872 da Giuseppe Mereu e Angiolina Zedda. Il padre, medico condotto di Tonara, mori accidentalmente nel 1889 bevendo del veleno che aveva scambiato per liquore; la madre era morta pochi anni prima, nel 1887, a Cagliari. Peppinu Mereu era il quarto di sette fratelli: più grandi di lui erano Edoardo, Manfredi ed Elvira, più piccoli Matilde, Rinaldo ed Emilia I suoi studi furono probabilmente interrotti alla terza elementare; a quel tempo, infatti, a Tonara non esitevano altre scuole e per proseguire gli studi bisognava andare fuori dal paese.
Fu quindi un autodidatta: non si spiega in altro modo la sua conoscenza del latino e della mitologia classica, a cui fa riferimento in alcune delle sue poesie. Cominciò giovanissimo a cantare e scrivere poesie, frequentò i poeti tonaresi più noti: Bachis Sulis, Lorenzo Zucca, Agostino Deiana e Francesco Cappeddu. La sua curiosità, stimolata da questi contatti, lo spinse a leggere i libri della biblioteca paterna. Oltre a curare questi interessi faceva lo scrivano per conto d’altri. A diciannove anni, e precisamente il 7 aprile 1891, si arruola volontario carabiniere seguendo l’esempio di tanti altri giovani sardi e meridionali in genere che fin da allora non avevano altra scelta.
Durante i cinque anni della vita militare si sposta in vari paesi dell’Isola per motivi di servizio, conosce alcuni poeti sardi e stringe con loro amicizia. Canta le sue poesie nelle feste e nelle sagre paesane, dimostrando grandi capacità poetiche e d’improvvisatore. Si racconta che un giorno si trovasse ad assistere ad una gara poetica in compagnia del maresciallo della stazione in cui prestava servizio. Attratto evidentemente dai poeti che si esibivano, chiese al maresciallo di poter partecipare alla disputa (la maggior parte delle volte gli veniva proibito) e col consenso del superiore cominciò a cantare facendo meravigliare non solo il pubblico, ma gli stessi poeti che di lui conoscevano solo il nome.
Questo periodo, che va dal 1891 al 1895 e coincide col periodo trascorso come carabiniere, segna indubbiamente la fase fondamentale della formazione del Mereu. È di questi anni la presa di coscienza delle ingiustizie tipiche del sistema militare e la denuncia dell’abuso del potere da parte dei suoi superiori. Egli stesso fu vittima di queste ingiustize: accusato ingiustamente di furto da parte di un superiore, fu processato e assolto; questa esperienza incise profondamente nella sua vita. Egli fa anche una critica spietata al ruolo dei carabinieri, che invece di essere difensori della giustizia sono spesso alleati degli stessi trasgressori della legge.
Citiamo a questo proposito i versi diventati ormai famosi a livello popolare: Deo no isco sos carabineris / in logu nostru proite bi sune / e no arrestant sos bangarrutteris.
Ed è durante la vita militare che prende coscienza anche dei problemi socio-economici dell’Isola e manifesta idee che si ispirano al nascente movimento socialista. Nella sua concezione socialista-utopistica il poeta trova la soluzione ai problemi degli oppressi e della classe lavoratrice in genere. Egli diffonde queste idee progressiste con il mezzo a lui più congeniale: la poesia.
Peppinu Mereu è stato l’unico poeta sardo che nel 1892 abbia scritto versi come questi: Si s’avverat cuddu terremotu / su chi Giagu Siotto est preighende /puru sa poveres’hat haer votu. / Hap’a bider dolentes esclamande / «mea culpa» sos viles prinzipales / palatos e terrinos dividende. / Senza distinziones curiales / devimus essere, fizos de un‘insigna / liberos, rispettados e uguales.
E in altre sue poesie, in particolare quella dedicata a Genesio Lamberti, mette a nudo le ingiustizie e i soprusi che il popolo continuamente subisce e lo incita alla ribellione. Nel poeta c’è anche l’amara considerazione che la nostra Isola è sottomessa: Sos vandalos chi cun briga e cuntierra /benint dae lontanu a si partire /sos fruttos, da chi si brujant sa terra.
E inoltre: Vile su chi sas giannas hat apertu / a s ‘istranzu pro benner cun sa serra / a fagher de custu logu unu desertu.In questi versi è evidente la condanna dello sfruttamento delle risorse isolane da parte dei continentali, condanna sentita da tutti i sardi che vedevano nel Regno d’Italia un colonizzatore.
Dalle notizie raccolte risulta che Peppinu Mereu ebbe diverse relazioni amorose; di una in particolare, e precisamente quella con Maria Domenica Dore di Florinas, ne dà testimonianza il figlio di lei R. Manconi nel suo libro Vecchia Florinas.
Durante l’ultimo anno della vita militare la malattia del poeta si fa più intensa: dopo aver trascorso vari periodi nell’infermeria presidiaria di Sassari e di Cagliari, viene congedato il 6 dicembre 1895 per motivi di salute. Rientra a Tonara e vive per un breve periodo con il fratello Manfredi, a quel tempo ufficiale postale. La convivenza dura poco per incomprensioni tra i due, sicché il poeta si trasferisce per qualche tempo a «Muragheri» (una caratteristica zona di Tonara dove fra l’altro si trova la fonte di «Galusè»).
Dopo gli screzi avuti col fratello vive con l’aiuto di varie persone: canta nei matrimoni, partecipa alle gare poetiche, fa le musicas (serenate che si facevano in primavera al ritorno dei pastori); inoltre scrive lettere, copia e compila documenti per conto d’altri, essendo nel paese uno dei pochi capace di scrivere. Dall’ottobre del 1898 al dicembre del 1900, per interessamento del Signor Pulix, allora segretario comunale, lavora come scrivano presso il Comune e la conciliatura. In questo periodo trova alloggio presso il messo comunale, Trabadore Medde, che gli mette a disposizione una stanza nella sua casa adiacente agli uffici comunali.
La produzione poetica che coincide con la fase più acuta della sua malattia è pervasa da motivi malinconici ed è legata allo sconforto e alla considerazione che il suo destino non può cambiare. In questa fase è dura la critica nei confronti dei rappresentanti della chiesa e del potere locale, ed è per queste sue prese di posizione che viene relegato in un isolamento socio-culturale da parte di alcuni. A livello popolare però riscuote sempre una spiccata simpatia, poiché è il popolo a ritrovarsi in ciò che il poeta dice.
La malattia e l’isolamento lo portano negli ultimi mesi di vita a una grande disperazione pervasa dal senso della morte: è la disperazione di un giovane che, colpito da un male incurabile, sente prossima la fine quando in lui c’è ancora tanta carica vitale d’amore e di lotta per una migliore condizione umana. È certamente il momento più triste della sua vita, perché ripensa al passato, quando, allegru e sanu, fia in pizzinnia / odiende sa morte / de solas isperanzias vivia, ed è sconfortato dall’idea che per lui non esisterà un futuro.
Muore l’l 1 marzo 1901, a soli 29 anni, consumato che candel’e chera.