Le rechiglias o relicuias sarde, sono la stessa parola latina reliquiae, cioè «resti, avanzi» ecc. Ma con la differenza che il termine latino si riferisce a qualsiasi rimasuglio in genere, mentre quello sardo, indica sì, resti o rimasugli, ma di cose sacre.
Le rechiglias, sono tutt’ora venerate in molte città italiane e straniere, e in alcuni santuari famosi.
In passato non c’era santuario che si rispettasse, e spesso anche famiglie potenti, che non avessero le loro buone rechiglias, che erano considerate cose veramente preziose, rendevano fiero chi le possedeva, e venivano custodite religiosamente con particolare cura.
Le rechiglias venivano spesso richieste ai possessori, in determinate circostanze per eseguire un particolare rito detto “purgativo”; una specie di giuramento che, persone sospettate di un grave reato, un furto di entità rilevante o, peggio ancora, un fatto di sangue, erano chiamate a prestare su richiesta dell’offeso e dei suoi parenti più stretti.
Il giuramento sulle rechiglias, veniva prestato nella formula sacramentale: de no aer fattu, nen bidu, ne intesu. Se il giuramento veniva prestato senza alcuna esitazione, il sospetto veniva meno, o comunque si indeboliva sotto un forte dubbio.
Il dubbio non si dissipava completamente, soprattutto, quando si trattava di fatti gravissimi, perché si pensava che una persona capace di compiere un’azione così grave, non potesse anche spergiurare sulle sante reliquie; tant’è che si diceva, e si dice ancora: a giurare mi o lu pones, sa craba ti nde perdes.
Fonte: Curiosità del vocabolario sardo di Antonio Senes.
Paolo da Ozieri