L’articolo sull’Ardia di Sedilo, pubblicato nei giorni scorsi, ha richiamato alla mia memoria un’altro articolo sull’Ardia (di cui ne presento una parte), pubblicato sulla rivista mensile S’Ischiglia n.6 del giugno 1982 da Aquilino Cannas. Dove tra le altre cose dice che i sedilesi, oltre ad essere degli abili cavallerizzi; erano anche abilissimi nel modificare i tratti somatici dei cavalli, rendendoli irriconoscibili persino ai loro proprietari.
“…Ma dei sedilesi si dice ben altro ancora, correva di loro ben altra, particolare fama. Si dice che un tempo esercitassero una segreta pratica di ordine… veterinario. Erano infatti ritenuti specialisti di… chirurgia plastica, per come si direbbe oggi, antesignani nel «rimediare» esteticamente i connotati non di un uomo ma, nella fattispecie, di un cavallo trasformandone i dati somatici. Si diceva allora che per Sedilo passassero i migliori cavalli rubati nell’isola per essere «elaborati» in modo da renderli convenientemente irriconoscibili.
Perché attraverso una tecnica che risulterebbe essere la stessa del tatuaggio che si usa praticare tra gli uomini, quei cavalli mutavano… pelle. A Sedilo si era cioè capaci di creare addirittura delle balzane laddove non c’erano. Tutta la gamma delle balzane, e per tutti i generi di manto. Ma anche le sfacciature, o altri particolari prima inesistenti. Capitava allora; che a Sedilo entrassero, furtivamente, cavalli a manto unito per poi uscirne balzani di una, di due, di tre o anche di quattro zampe «pearbus», a piacimento del richiedente. Così come potevano uscirne con «stella» o «fiore» in fronte «steddaus»; sfacciati con «liste» o «beventi in bianco» «facciarbus»; o balzani anche nel muso «pizzarbus», a seconda. Ed anche qualche cosiddetta «macchia di sugna» (segno di nobili ascendenze) sulla spalla o sulla coscia dei sauri, si poteva ottenere, e perfino delle «pomellature» sui manti grigi, se si incappava nell’asso dei pictografi del momento, quale tocco maestro per una, più compiuta nuova identità di quel cavallo.
Un’arte, si dice, ottenuta con lo stesso procedimento del tatuaggio praticato sull’epidermide umana, alterandone cioè la pigmentazione attraverso macchie di colore iniettate e fissate sotto cute con particolari tecniche. Si conseguiva, per dirla in breve, una deformazione permanente della pelle, provocata in due modi: per cicatrice o per puntura.
Per cicatrice si produceva una fiaccatura «friadura» ottenuta sottoponendo la parte voluta a frizioni di spazzolini metallici con applicazione poi di sostanze ritardanti la cicatrizzazione e quindi l’attività dei bulbi piliferi, e cioè una vera e propria scarificazione. Trattamento questo riservato ai cavalli di manto scuro (morelli, bai, sauri) in quanto promuoveva la nascita di peli bianchi (balzane, appunto) nella parte desiderata delle gambe o della faccia. Per puntura si procedeva invece con l’introdurre sotto cute una sostanza colorante per mezzo di un piccolo strumento a forma di lancetta o di pettine seguendo un certo disegno, e, per dosi, chiaroscurendone la colorazione nei contorni. Trattamento questo riservato ai cavalli di manto chiaro, per la varietà dei grigi (dal leardo, all’isabella, al grigioferro, ecc.).
Dopo il necessario periodo di… degenza clinica, quel cavallo veniva dimesso. Ma reso tanto irriconoscibile da non poter essere rivendicato dal suo legittimo proprietario anche se fosse stato il più esperto uomo di cavalli della Sardegna. Infatti quel cavallo cosi truccato non corrispondeva più nei connotati neppure ai dati somatici peraltro risultanti dal certificato d’orgine, documento questo, come si sa, prescritto solo in Sardegna in virtù dei millenario fenomeno endemico dell’abigeato, e quindi richiesto dalla legge per gli equini, bovini, ovini. Certificato da «camuffarsi» in ragione del cavallo «truccato», ma questa ulteriore falsificazione era accessoria e di gran lunga più facile da ottenere di una operazione di chirurgia plastica.
Non si può dire infine, che alcuni di questi cavalli «rigenerati non possano aver, onestamente, corso l’Ardia con in groppa il nuovo padrone «bardieri» in voto di penitenza e devotamente mormorante: «Santu Antine de sos caddos trastoccaus, perdonanos…» ritualmente segnandosi ad ognuno dei sette passaggi davanti all’ingresso del tempio. E nella incantata valle di Santu Antine, Costantino il Grande proclamato e celebrato santo dai sedilesi, come può non perdonare?…”
Paolo da Ozieri http://www.webalice.it/ilquintomoro