Tra i tanti saperi e pratiche sulle erbe officinali raccolti durante la ricerca sul campo ci pare interessante sottolineare alcune pratiche legate a credenze particolari, in cui la medicina popolare si dimostra un interessante impasto di religione, magia, e conoscenze botaniche; questo è caratteristico delle culture tradizionali popolari italiane; ci si curava usando tutte le risorse disponibili in loco, in primis le piante selvatiche, considerate sino a non molti decenni fa, insieme ai prodotti alimentari e al vino, una primaria fonte di cura per le più svariate malattie: in una parola i campi erano una farmacia a cielo aperto.
Un rituale di guarigione ad esempio era praticato tramite l’intrecciarsi di due rami, che dovevano formare una corona; la corona del resto è un simbolo tradizionale in molte culture, un oggetto culturale che è dotato di poteri magici, legati al potere, si pensi solo alla corona dei re o per converso alla corona di spine di Cristo. Così come l’intreccio, i nodi, hanno dei significati rituali precisi, e dei poteri taumaturgici, in questo caso purificatori. La corona aiutava il paziente a compiere il rito purificatore, il male, in questo caso uno spavento che ha generato uno stato di esaurimento:
Anna Maria Pes infatti racconta così:
Anna: ««Che cos’era sa corona?»
Anna Maria Pes: «Ah! Prendevano due rami, uno da una parte e uno dall’altra [in modo da creare un arco] e facevano “sa corona”. E si doveva passare sotto, in questo modo , avanti in dietro per tre volte.
Anna cosa si doveva pronunciare?»
Anna Maria Pes: «In matta frisca passu, su malli miu lassu, de mottusu e de biusu, lassu su malli miusu” [passo sotto le piante fresche, lascio il mio male, di morti e vivi, lascio i miei mali] per tre volte. E basta. Allora si lasciava una moneta, altrimenti un pezzo di stoffa…».
Anna: «Perché questo?»
Anna Maria Pes: «Per lasciare il male in quel posto».
Anna «Qual era il male? Lo spavento?»
Anna Maria Pes: «Esaurimento…»
Anna: «Ah, l’esaurimento…»
Anna Maria Pes: «Sì l’esaurimento, quando uno ha uno spavento…».Anna: «Mentre cos’era quella erba che si metteva ai bambini po no di sis pigai de ogu? [ossia contro il malocchio]».
Anna Maria Pes: «Su marrupiu [il marrubio Marrubium vulgare)]».
Anna: «Su marrupiu… ecco cosa succedeva? ».
Anna Maria Pes: «No, no si metteva così [la signora fa il gesto di inserire le foglie nella piega del grembiule, attorno alla vita], contro il malocchio… invece c’è chi conosce i brebus e sanno fare “s’acqua”… gli girano la candela… io ascoltai le donnine, quando mi mandava la buonanima di mia madre, mi mandava con un bambino (uno dei suoi numerosi fratellini) a “di girai sa candella”…questa donna diceva “girava, girava, [con la candela in mano faceva un segno di cerchio], girava, girava, Nostra Signora quando girava, ombre e occhi prendeva, Nostra Signora de sa Difensa [non è chiaro questo ultimo termine] ti porti via questo timore”, si facevano il segno della croce ed [era] fatto».
Per la sciatica c’era la credenza che una noce tripartita (Juglans regia), che costituisce una rarità, un po’ come il quadrifoglio, potesse essere di grande giovamento.
La signora Pes racconta di un rituale accompagnato da preghiera effettuato con una noce che presenta tre parti anziché due. Il rito serve ad alleviare i dolori della sciatica, attraverso questa noce che si riteneva avere poteri particolari […].
Anna: «Com’è questa noce… ha tre facce?».
Anna Maria Pes: «Pottada tres’azzasa, (ha il guscio diviso in tre parti), e questa la usano così (mostra anche i gesti): sa nuxi mi passu, in nomini de Gesù Cristu e de Santa Maria, mind’ì pighi custa malladia, in nomini de Deu, babbu e fillu e spiridu santu e aicci siada [la noce mi strofino, in nome di Gesù Cristo e di Santa Maria, mi porti via questa malattia, in nome di Dio, padre, figlio e spirito Santo e così sia] per tre volte, e basta».
Per il dolore alla milza ugualmente veniva utilizzato un rituale magico, siffatto:
Anna Maria Pes: «Quella de sa folla de spreni [cioè delle foglie di agave, che significativamente si traduce letteralmente come “foglia della milza”, infatti si usava per far guarire questa parte].
Anna: Sa folla de spreni a cosa serviva?»
Anna Maria Pes: «Questa andavano in campagna, a prenderla, se ne trova qui in “s’arrocca” [zona del paese]. La tagliavano le persone che conoscevano i brebus, e la bucavano pungendola per cento e una volta. Le infilavano uno spago e la appendevano sul camino ad asciugare. Come si seccava diminuiva il gonfiore alla milza».
Molto interessanti le testimonianze di Santino Melis, che ha una conoscenza approfondita delle proprietà delle piante:
Anna: «Ziu Santinu quali sono le erbe che lei utilizza per curare, per curarsi?».
Santino Melis: «Non sono troppe, io uso la malva, sa narbedda, la melissa, ment’i abis in sardo, la salvia, che è la migliore».
Anna: «Quella che poi si usa anche per cucinare».
Santino Melis: «Sì, poi uso il corbezzolo, la ginestra selvatica [sa tiria]».
Anna: «Va lei di persona a raccogliere queste erbe e piante?».
Santino Melis: «Vado io perché non mi fido di nessuno, vado dove inquinano soltanto gli uccelli, vanno colte in luoghi sicuri […]».
Anna: «Sono erbe che vanno raccolte in un certo periodo? ».
Santino Melis: «Vengono raccolte possibilmente quando stanno maturando, certe in fiore, alcune dopo la fioritura, per fare questa tisana occorre che siano complete […]».
Interessanti anche le informazioni di sua sorella Lucia, esperta anch’essa in medicina a base di erbe officinali.
Lucia Melis: «Sì il seme, il seme del lino serviva per la broncopolmonite, dollor’è costau lo chiamavano».
Anna: «E come lo usavano? ».
Lucia Melis: «Lo mettevano a cuocere e poi lo applicavano a cataplasma caldo nella zona dolorante […].
Anna: «le altre piante che conosce? ».
Lucia Melis: «le altre piante che conosco sono la melissa, la melissa ament’i abisi».
Anna: «Ament’e abis in sardo [Melissa officinalis]… ».
Lucia Melis: «Ament’i abisi, e serviva per fare la tisana, la tisana per il mal di testa».
Anna: «E cosa si usava per questa tisana?».
Lucia Melis: «Le foglie e i fiori, si coglieva in questo periodo [maggio]e poi si metteva a seccare, e si usava in inverno, quando si aveva mal di testa, mal di stomaco, è buona anche per lo stomaco, anche per la pancia, per i nervosi, per i nervi».
Lucia Melis: «La centaurea, buona per la febbre».
Anna: «che in sardo si chiama? Mamm’è linna [caprifoglio ossia probabilmente Lonicera inplexa]?
Lucia Melis: «Mamm’è linna, no»».
Anna: « mamm’è acchina [Centaurea minore]!
Lucia Melis: «Mamm’è linna è un’altra, mamm’è linna perché si attacca al tronco della pianta, fila, sa mamm’è linna è quella.. sa mamm’è acchina si usava per la febbre».
Anna: «Quando si raccoglieva la centaurea? ».
Lucia Melis: «In questo periodo, in questa data»..
Anna: « quindi verso giugno».
Lucia Melis: «Sì, sì, verso giugno, ma tutte le erbe in questo periodo, è proprio il periodo buono di raccolta, prima che si secchino ecco, è meglio seccarle dentro […]».
Anna: «in un luogo chiuso?».
Lucia Melis: «Anche se all’aria.. all’aria.. se ne fanno dei mazzetti .. e poi (si essiccano) anche all’aria, anche fuori , sotto qualcosa in modo che non prenda il sole diretto,il sole… il sole toglie le virtù alle piante».
Anna: «Ah, ecco».
Lucia Melis: «Sì, sì».
Anna: «Quindi va conservata in gazzettini, qualsiasi erbe si debba usare».
Lucia Melis: «Sì, e poi si appende, (dopo essiccata) si mette in contenitori di vetro ben chiusi, si usa quando serve, dura a lungo ben conservata, io faccio così, quando la raccolgo la metto in questi…
Anna: «Quindi sa mamm’e acchina serviva per le febbri giusto? ».
Lucia Melis: «Per le febbri, e depurava pure, mi pare che depurasse anche il sangue».
I testimoni hanno concordato sulla ricchezza nel territorio di Burcei di erbe commestibili e officinali:
Anna: «Quali sono le erbe officinali presenti nel territorio di Burcei? ».
Lucia Melis: «Ce ne sono parecchie di erbe medicinali, sia erbe medicinali, sia fruttifere».
Anna: «Sono diverse insomma».
Lucia Melis: «Diverse cose ci sono sì, le erbe spontanee che sono anche medicinali».
Anna: «Usate sia come medicinali che anche, a volte, per essere mangiate vero?».
Lucia Melis: «Sì, sì, dipende dalla qualità, si possono fare anche insalate… certe cose… e quindi… c’è un po’ di tutto e anche molto».
tratto da : http://www.alberghierogramsci.gov.it