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Su Pan’ispeli, l’antico pane di ghiande

pane di ghiande

Su Pan’ispeli viene nominato da Plinio il Vecchio nel I secolo D.C, descrivendolo come un pane di ghiande impastato con argilla del quale si nutrivano i Sardi.
Il pane di ghiande era utilizzato per buona parte dell’anno e veniva preparato scegliendo la quantità necessaria di ghiande ben mature, le quali venivano sbucciate e si ponevano a cuocere in una specie di lisciva, ottenuta filtrando l’acqua di cottura attraverso uno strato di argilla speciale, ricca di ferro, e di cenere di alcune erbe aromatiche. La cenere serviva a togliere l’aspro e l’amaro del tannino delle ghiande, e l’argilla dava il glutine necessario a legare l’impasto.

Entrambe questi ingredienti contribuivano a render più gustoso e digeribile il pan’ispeli.
Quando le ghiande, per effetto della cottura, raggiungevano la consistenza della polenta, assumendo quasi il colore del cioccolato, si stendevano su tavole a rassodare, per poi venir tagliate a fette o a pani. Seccato al sole o al forno, il pan’ispeli veniva quindi consumato come un pane qualsiasi, col solito companatico nostrano, formaggio, lardo ecc.

Paolo Mantegazza scrisse: “Il pane di ghiande deve rimandarsi ad usi e popoli antichissimi, forse ai primi abitatori della Sardegna“.
Vittorio Angius affermò che “Le donne di Baunei ne portano in altri paesi e lo vendono più caro che se fosse di farina scelta. Se ne manda in dono e si pregia come una cosa singolare…”.
Osvaldo Baldacci scrisse: “Fin dal 1938, durante imiei viaggi nell’Ogliastra potei constatare che il pane di ghiande non rientra più nel regime alimentare quotidiano, ma che persiste tuttora come singolarità tradizionale nella mensa di persone povere e facoltose durante le festività paesane“.

panispeliLello Fadda ha riportato, nel suo bellissimo articolo “Geofagia in Sardegna“, la descrizione dettagliata di un vero e proprio cerimoniale a sfondo religioso effettuato nel Marzo del 1957 a Baunei.
Secondo lo studio effettuato da Angelino Usai riportato nel suo libro “Baunei”, il pane di ghiande sopravvive in Ogliastra ma l’usanza era tradizione della Barbagia e di altre zone della Sardegna nel quale aveva nomi differenti:  panispeli, lande cottu (Baunei e Triei), lande kin abba e ludu orrubiu (Talana e Urzulei).

Tale abitudine alimentare è stata messa in relazione con antiche forme di Geofagia.
La geofagia ha radici antichissime. Platone consigliava alle donne incinta di ingerire argilla come ricostituente, i romani invece, la impastavano con sangue di capra e ne facevano dei biscotti medicinali.
I tedeschi e gli scandinavi, fino ad un secolo fa, la impiegavano per la panificazione, proprio come fanno tuttora gli aborigeni australiani. Nei mercati dell’Africa Centrale viene invece venduta come digestivo e cura contro la dissenteria.
Ricca di minerali come ferro, magnesio e zinco, l’argilla, in piccole dosi, purifica l’organismo e lenisce i disturbi intestinali. Non a caso è uno degli ingredienti principali del Maalox, noto farmaco anti-acidità.

Fadda nel suo articolo scrive che una indagine della Reale Società Agraria ed Economica di Cagliari non ha considerato l’uso del pane di ghiande come geofagia ma ne ha attribuito l’utilizzo alla povertà della popolazione dell’interno dell’isola. Fadda non pensa che l’uso del pan’ispeli fosse da ricercare solo nella povertà del popolo ma affianca a questa antica tradizione un significato magico e rituale molto interessante.
Come per altri rituali legati alla cultura agropastorale sarda, anche in questo caso certi significati sacrali e simbolici si sono persi, anche se l’uso è continuato nel tempo e si sono tramandati solo i modi e le forme. I veri significati, per essere raggiungibili, devono essere esaminati alla luce della cultura e della religiosità degli antichi Sardi.

pane di ghiandeFadda mette in rilievo due punti principali che determinano le origini arcaiche dell’usanza del pane di ghiande e dimostrano che in origine era un pasto sacro che esprimeva valori fondamentali.
Innanzitutto la pasta veniva mischiata con argilla rossa, inoltre, l’argilla veniva prelevata, come in Grecia, generalmente in caverne e probabilmente veniva raccolta nel periodo della luna crescente, in quanto si pensava avesse maggiori proprietà curative rispetto al periodo di luna calante.
Il rosso è legato al principio della vita, specialmente il “rosso notturno”, femminile, cupo e entripeto, colore del fuoco centrale e della terra, in cui si opera la rigenerazione dell’essere.
La terra rossa può così simboleggiare il sangue della Dea Madre fondamento culturale delle prime società sarde.
La caverna, poi, è presente in tutti i miti di origine e rinascita: è archetipo dell’utero della Grande Madre, perciò, tutto ciò che si trova nella terra è considerato vivente.
La caverna era considerata anche un ricettacolo di energie e questa forza tellurica doveva impregnare l’argilla che vi si trovava così da poter comunicare la forza vitale.

L’argilla trasformata in pane e mangiata come una vera divinità assicurava la salvazione. Mangiare quel “pane di potenza” significava trasformarlo e nello stesso tempo essere trasformati da una vasta ed unica energia.
Attraverso il pasto sacro l’uomo si identificava con la vita stessa della Terra Madre e quindi con l’intima forma della vita.
L’uso di consumare sacralmente il pane come corpo del dio era certamente praticato nella Sardegna antica; forse in origine lo si impastava nella forma di un idolo e veniva mangiato in un banchetto liturgico durante celebrazioni che avevano componenti lunari come la fecondità e la fertilità.
Certi riti si sono ripetuti nella forma anche se gli antichi significati non sono più sentiti, rimane solo il ricordo nella memoria collettiva e nella pratica rituale folcloristica.

Fonti:
“Geofagia in Sardegna” di Lello Fadda
Un grazie di cuore a Paolo di Ozieri che ci ha scritto in merito al Pan’ispeli. La tua segnalazione ci ha fatto scoprire qualcosa di più sulle nostre tradizioni.
http://www.webalice.it/ilquintomoro