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Thiu Giarrette, la magia di un uomo buono

 

ploaghe

Seguire un sito come Contusu ci ha dato la possibilità di conoscere persone che come noi nutrono un grande amore per la propria terra e le sue antiche storie.

Pasquale Demurtas è una di queste.

E’ l’autore di un bellissimo libro “La magia di un uomo buono: Thiu Giarrette, anime e demoni” che racconta principalmente le storie, talune molto vecchie altre relative agli ultimi decenni, di Ploaghe e di un uomo conosciuto come Thiu Giarrette che aveva fama di essere un grande guaritore.

Pasquale ci ha dato il permesso di riportare i racconti del suo libro in modo che sempre più persone possano conoscere la figura di Thiu Giarrette ed il bene che ha fatto con i suoi poteri e le storie popolari del suo paese.
Ecco la presentazione del libro.

Questo lavoro, semplice ed essenziale, non lo è per caso. Si è voluto raccontare e tramandare i racconti così come attorno al camino, o seduti al fresco nelle sere d’estate, ci venivano sussurrati, sottovoce, per creare quell’alone di mistero, quel clima surreale che affascina ed intimorisce. Molti si chiedono se siano storie vere oppure no. Io non credo che abbia poi tutta questa importanza. La cosa più preziosa è il dono del racconto, l’incanto che si può provare nell’ascoltare o nel leggere un qualcosa che abbia in sé un po’ di mistero, che ci aiuti ad ingannare il tempo e la realtà. Il libro si suddivide in tre parti. La prima sarà dedicata a zio Giarrette, piccolo grande uomo a cui la comunità ploaghese, e non solo, è molto legata. Un guaritore, un uomo arcano, taciturno, di cui si tessono ancora le lodi. La seconda parte sarà dedicata ai racconti, testimonianze dirette o indirette di cui si certifica l’autenticità. I testimoni ci dicono che sono fatti realmente accaduti. La terza parte, invece, sono racconti costruiti su miti e leggende. Racconti di fantasia. A volte è capitato che il personaggio, famoso per il solo nome, non avesse una storia; altre volte, invece, che i tanti episodi raccontati, testimoniati e veri, mancassero di un nesso logico, per cui si è dovuto costruire, attenendosi comunque alla veridicità dei fatti accaduti.

CHI ERA THIU GIARRETTE

Giovanni Maria Solinas nasce a Ploaghe, nel 1886, ed ugualmente a Ploaghe muore, nel 1971, all’età di 85 anni.
Alla sua figura il paese è molto legato. Sono ancora vive nella memoria le testimonianze dirette e indirette che ci descrivono il personaggio come un guaritore, in stretto contatto con le anime e con la natura.

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Thiu Giarrette

La sua figura è più importante di quanto si pensi: può essere considerato uno degli ultimi capostipiti di una religiosità esistente in Sardegna prima e parallelamente al cristianesimo.
Nato, come abbiamo detto, verso la fine dell’ottocento, l’uomo che abbiamo deciso di chiamare zio Giarrette, per sentirlo più vicino a noi, trascorre in quegli anni la sua oscura adolescenza.
È nel secolo XX che però vive la fase più importante della sua vita, che lo rende popolare.

Nei decenni del ’900, nonostante la Chiesa avvii una grande fase di cambiamento al suo interno, che culmina con il Concilio Vaticano II, la Sardegna, pur profondamente cristiana e cattolica, conserva nel suo interno pratiche e una sorta di spiritualità di sapore pagano.
Si mescolano, così, sacro e profano, le preghiere ed il culto della luna, la messa e il “majarzu”, il malocchio e l’eucarestia.

Insomma, due mondi inconciliabili, fede e superstizione. Nei piccoli centri della Sardegna essi vengono vissuti come parte integrante del credo, non escludenti ma includenti, facenti parte dello stesso mondo.
Per tutti i nipoti, zio Giarrette era semplicemente tiu Solinas.

Era un uomo minuto, sufficientemente curvo da sembrare ancora più basso. Era molto magro, con i pochi capelli ancora ricci in età avanzata; baffetti stretti sul labbro superiore, due occhi piccoli sempre arrossati, soprattutto d’inverno, a causa del fumo del camino. Le ciglia erano folte e ispide, il naso piccolo, sottile, quasi affilato.
La carnagione, per natura chiara, era stata scurita, specie in viso, dalla vita campestre.
Con le sue mani dure e nodose a volte dava qualche buffetto nelle guance ai bambini, rivolgendosi a loro con voce dolce.

Nell’insieme, la sua figura era brusca, rude, selvatica.
Per questo, forse, era considerato un uomo asociale. Eppure aveva molti amici e molti “pazienti”, cui non domandava denaro.
Ha vissuto sempre in campagna, fino agli anni ’60. In paese, a casa sua (in via Roma 243), veniva di tanto in tanto per cambiare l’abito e mettere indumenti puliti che gli facevano trovare pronti le nipoti.

Allora spalancava il portone della vicina di casa, e faceva rotolare lungo tutto il corridoio, fino alla cucina, una forma di formaggio nero come la pece, duro come il sasso e, puntualmente, all’ingresso lasciava un pacco di caffè muffito.
Raramente entrava, perché il tempo era dedicato alle tante persone che chiedevano aiuto per le loro necessità.

Molti lo chiamavano Giommaria o tiu Giommaria. Tanti, Giarrette; non si sa il perché, probabilmente perché era piccolo, oppure era un nomignolo ereditato.
Era un mago, un alchimista, interloquiva con l’aldilà?
Impossibile appurarlo con certezza.
Di certo non si è mai sentito che praticasse “maiasadorias malas”, fatture dannose per le persone. Ma capiva se qualcuno era stato danneggiato in questo senso e, con chiarezza e sincerità, sapeva dire se c’era rimedio oppure no.

Sono tanti i testimoni che dicono che non solo interloquisse con le anime, ma addirittura con i demoni, di cui  conosceva i nomi e i peccati che rappresentavano.
Curava emorroidi, cisti sebacee, sfoghi cutanei con una pozione composta da erbe officinali, a lui note, e da una base chimica che un illustre medico del policlinico sassarese gli aveva fatto avere, come gesto di gratitudine per avergli guarito un amico con quella sua lozione.

I suoi interventi erano notoriamente stupefacenti e qualcuno vi ha anche assistito. Usava linguaggi e strumenti semplici ma paradossalmente arditi e non certo comuni.
Non era né uomo di fede, né uomo di Dio, né uomo di Chiesa. Ma gli erano noti espressioni e procedimenti rituali da esorcista.

Fino a qualche anno fa, sulla tomba di “tiu Solinas” c’era sempre un fiore, e non solo nella commemorazione del 2 novembre. Forse, mani pietose di un qualche riconoscente, chi lo sa.
Questo piccolo tributo, racchiuso in tanti racconti e testimonianze, vuole essere a sua volta un segnale di riconoscenza verso questo benefattore, che meriterebbe maggiore fama.

Pasquale Demurtas